Un Consiglio dei ministri senza precedenti. Perché per la prima volta nella sua storia l'Italia effettuerà un trasferimento di materiale bellico direttamente a un altro Stato sovrano. Si tratta di centinaia di missili antiaerei e anticarro e migliaia di mitragliatrici pesanti Browning e leggere Mg, come pure migliaia di mortai. Il tutto per un valore che si aggira intorno ai cinquanta milioni di euro. Niente a che vedere, insomma, con le poche armi che mandammo nel 2014 in Iraq, destinate all'allora governo regionale del Kurdistan.
Una decisione presa dal Consiglio dei ministri all'unanimità, superando quindi i dubbi manifestati nei giorni scorsi dal leader della Lega, Matteo Salvini. Una scelta che sarà avallata oggi dal Parlamento, visto che il decreto approvato ieri è vincolato al via libera delle Camere atteso in giornata. Un provvedimento - spiega il sottosegretario alla Difesa Giorgio Mulé - che il premier Mario Draghi ha «costruito» in condivisione con tutte le forze della maggioranza. Tanto che oggi, a parte i distinguo di Sinistra Italiana, si attende un via libera unanime da tutto il Parlamento. A quel punto, il ministero della Difesa guidato da Lorenzo Guerini potrà «adottare un decreto interministeriale per la cessione» di materiale bellico. E nel provvedimento, di concerto con la Farnesina e il Mef, sarà definito l'elenco dei mezzi e degli equipaggiamenti che l'Italia invierà al governo di Kiev. Attraverso, ovviamente, i cosiddetti «canali secondari». Nel senso che il materiale arriverà in Polonia o Romania e, solo in un secondo momento, passera la frontiera ucraina. Il tutto, al più tardi, per l'inizio della prossima settimana. Una «risposta importante che dà il segno della nostra concreta solidarietà» a fronte di una «ingiustificata aggressione russa» che - spiega Guerini - costituisce «una grave minaccia alla sicurezza internazionale».
L'Italia, dunque, per la prima volta nel Dopoguerra fornirà assistenza militare ad un altro Stato. Sistemi anticarro e antiaereo, mitragliatrici leggere e pesanti e mortai potranno essere inviati fino al 31 dicembre. Strumenti, dicono gli esperti, particolarmente utili proprio in un contesto di conflitto urbano, dove servono armi facili e veloci da spostare. È il caso, per esempio, dei missili anticarro o degli Stinger antiaerei a infrarossi che sono facili da utilizzare e possono essere trasportati nel bagagliaio di un'auto. Aiuti, quelli decisi ieri, che vanno ad aggiungersi a quelli già deliberati venerdì scorso, quando Palazzo Chigi aveva approvato un altro decreto che stanziava 174 milioni di euro tra il 2022 e il 2023 per il potenziamento della presenza militare a Est e che prevedono il rafforzamento delle tre missioni già in atto: quella in Romania, la Baltic Guardian in Lettonia e quella nel Mediterraneo Orientale.
In Consiglio dei ministri, però, si affronta anche il capitolo approvvigionamento energetico. Con la consapevolezza dei problemi che potranno esserci di qui a poche settimane. La bozza del decreto con i nuovi aiuti all'Ucraina stabilisce che sarà il ministero della Transizione ecologica ad adottare con «provvedimenti e atti di indirizzo» misure «finalizzate all'aumento della disponibilità di gas e alla riduzione programmata dei consumi» previste «dal Piano di emergenza».
Ci si muove, dunque, in un clima di grande allarme nonostante i negoziati in corso tra Mosca e Kiev. Nel tardo pomeriggio, invece, Draghi si collega da remoto al vertice tra i Paesi G7, i leader Ue, Nato, Polonia e Romania. E si dice d'accordo sulla necessità di «mantenere uno stretto coordinamento» per agire insieme sulla crisi ucraina. Nel colloquio con - tra gli altri - Joe Biden, Emmanuel Macron, Olaf Scholz e Boris Johnson, il premier italiano ribadisce la più ferma condanna per la «brutale e ingiustificata aggressione» nei confronti dell'Ucraina».
Per «problemi tecnici», spiega Palazzo Chigi, salta invece il collegamento serale da remoto con l'Eliseo. Dove sono fisicamente presenti per una cena in cui fare il punto della situazione il presidente francese Macron, il cancelliere tedesco Scholz e la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen.
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