
Mentre la sinistra oggi grida allo scandalo per il Cpr di Gjader, evocando "lager di Stato" e accuse di deportazioni sembrerebbe però evitare accuratamente di guardarsi allo specchio. E dimentica forse non a caso com'è nata l'industria miliardaria dell'accoglienza: proprio sotto la sua regia politica. Tra il 2020 e il 2022, con Luciana Lamorgese al Viminale e il centrosinistra al governo, l'accoglienza diffusa è diventata un affare colossale. Un sistema sorretto da bandi opachi, cooperative "amiche" e gestori finiti più volte nel mirino della magistratura. A pagare, come sempre, sono i contribuenti italiani. Secondo il report "L'affare Cpr" pubblicato da Cild non certo un osservatorio vicino alla destra solo tra il 2020 e il 2022 sono stati stanziati oltre 50 milioni di euro per la gestione e ristrutturazione dei centri per il rimpatrio in Italia. Gli appalti? Spesso affidati a soggetti sospettati di gravi irregolarità e, in alcuni casi, al centro di indagini antimafia.
Il caso più eclatante è quello di Ors Italia, società profit che nel 2019 si è aggiudicata l'appalto da 4,8 milioni per il Cpr di Macomer. Secondo Cild, "Ors è rimasta inattiva fino al momento dell'aggiudicazione, sollevando dubbi sull'idoneità della società". Nonostante ciò, ha ottenuto anche la gestione dei Cpr di Roma e Torino, portando il totale a oltre 15 milioni di euro. Il gruppo è oggi oggetto di accertamenti da parte delle autorità antimafia per "rischi di infiltrazioni criminali". Ma non è un'eccezione: in Veneto, la cooperativa Ecofficina, oggi Ekene che gestisce il Cpr di Gradisca d'Isonzo e che in passato ha incassato oltre 10 milioni di euro per la gestione dell'accoglienza, è stata travolta da inchieste per frode, somministrazione illegale di psicofarmaci e maltrattamenti ai danni dei migranti. Le indagini della procura hanno svelato un uso sistematico di medicinali senza supervisione medica, ambienti degradati, minori lasciati senza assistenza e operatori privi di formazione.
A Milano e Palazzo San Gervasio, il gestore Engel Italia si è visto contestare l'istituzione di un mercato interno parallelo, con la vendita di beni di prima necessità a prezzi gonfiati, approfittando della condizione di detenzione amministrativa. La logica? Lucrare anche sulla disperazione. Non va meglio a Trapani, dove il centro di Milo è stato gestito grazie ad appalti pubblici da oltre 7 milioni di euro, assegnati a soggetti indagati per false dichiarazioni nei bilanci e frodi contrattuali. In alcuni casi, gli affidamenti sono avvenuti senza gare regolari, attraverso proroghe e assegnazioni dirette, spesso giustificate dall'"emergenza umanitaria".
Questo è il sistema che la sinistra ha promosso in nome dell'inclusione e dell'accoglienza. Ma dietro le parole dolci e le foto solidali si nasconde una filiera di potere e denaro dove a guadagnare non sono i migranti, ma una rete consolidata di cooperative, consorzi e società private.
Un circuito chiuso che ha drenato milioni di euro pubblici, con controlli inesistenti e responsabilità politiche mai chiarite.E oggi? Gli stessi che hanno costruito e alimentato questo meccanismo parlano di "deportazioni" e "scandali umanitari" per un progetto in Albania da 32 milioni in tre anni.