Da Onna al Covid, quanti appelli all'unità nazionale

Lo storico discorso del 2009 fu usato dalla sinistra per distruggere il suo consenso popolare

Da Onna al Covid, quanti appelli all'unità nazionale

Berlusconi pacificatore. Berlusconi statista. Oggi come ieri. Sbaglia chi vede una svolta. Dalle pagine del Foglio il Cavaliere invoca «l'unità profonda della nazione» e in tanti leggono un rinculo, un alto appello agli italiani tutti, chissenefrega se di destra, sinistra, centro. Si tratta di valori, di ideali, di idem sentire. Guarda caso un'intervista rilasciata il 25 Aprile, festa della Liberazione. La festa di tutti. Concetti nobili che il leader azzurro ha sempre avuto in testa e sempre professato.

IL DISCORSO DI ONNA Il 25 aprile 2009 Berlusconi arriva in quel che resta di un piccolo paese vicino all'Aquila. Il terremoto ha devastato l'Abruzzo. Lo scenario è surreale: macerie dappertutto, case sventrate, aria che sa di morte e dolore. Ad Onna il sisma s'è portato via quaranta persone e tutti i bambini di quel Comune. Al centro della piazza il presidente del Consiglio pronuncia un discorso che in tanti definiranno «storico». L'inno alla libertà. Il richiamo al rispetto di tutti i caduti durante la Resistenza, valore fondante della Costituzione. Il desiderio di una democrazia finalmente «pacificata». Il «compito di costruire finalmente un sentimento nazionale unitario». Il desiderio di «un nuovo inizio della nostra democrazia repubblicana, dove tutte le parti politiche si riconoscano nel valore più grande, la libertà». E ancora: «I nostri figli che hanno il diritto di vivere in una democrazia finalmente pacificata. Noi abbiamo sempre respinto la tesi che il nostro avversario fosse il nostro nemico». Applaudono tutti. I partigiani lì presenti si commuovono pure e gli legano al collo il tricolore della Brigata Maiella.

IL TRIONFO DEL 2008 Ecco, quello fu l'apice del successo di Berlusconi. Nel suo ultimo libro Alessandra Ghisleri racconta che, dopo Onna, lei stessa gli spiattellò i sondaggi: «Presidente, il suo consenso è al 75%». E lui, spiritoso lo è sempre stato, serissimo: «Perché? E l'altro 25%?». Giusto un anno prima è tornato a palazzo Chigi. Alle Politiche, straccia il centrosinistra di Veltroni: 46,8 a 37,5. L'uomo del fare torna nella stanza dei bottoni acclamato da un'Italia esausta. Napoli affoga nella spazzatura. Il Cavaliere la ripulisce. Il terremoto sbriciola l'Aquila. Il Cavaliere si butta in mezzo alla gente, pianifica la ricostruzione, porta lì il G8, dà un tetto a tutti. La sinistra è annichilita: «Questo durerà vent'anni», bisbiglia Veltroni ai suoi.

LA CADUTA Eccolo il problema: troppo consenso. Il successo berlusconiano terrorizza la sinistra. Serve qualcosa per scalfirlo, per abbatterlo, per bloccare l'ingranaggio del consenso. Ed eccolo il bastone tra le ruote del centrodestra: il giorno dopo Onna, Berlusconi fa una sorpresa a una ragazzina di Casoria. Da quel momento viene giù tutto. Il Cavaliere diventa il Sultano, il bunga bunga una vera ossessione dei giornali ostili. Poi ci si mette di mezzo Fini. E sarà la fine. Col colpo finale dello spread e la regia di Napolitano che vuole incoronare Monti.

Il 1994 È da allora che il 25 Aprile «divide piuttosto che unire». A Milano piove a dirotto e il corteo della Liberazione diventa il corteo dell'antiberlusconismo. Berlusconi un mese prima osa battere la macchina da guerra di Occhetto ed ecco che la festa della Liberazione deve diventare grancassa per liberare l'Italia dal nuovo fascismo del Cavaliere. È lui il barbaro, il tiranno, il dittatore, il nuovo Duce. Ovvio che in strada - anche se lui vorrebbe - Berlusconi non ci va. Sai che putiferio se ci andasse? Preferisce una messa privata ad Arcore dedicata «a tutti i caduti della Seconda guerra mondiale. Auspicherei una riconciliazione». Il radical chic Scalfari tromboneggia su Repubblica: «I riconciliatori vogliono trasformare il compleanno della libertà in una sorta di festa della mamma».

GLI SPUTI È la sinistra che divide, non Berlusconi. È la sinistra che odia, non Berlusconi. Altro esempio lampante: 2006. Letizia Moratti, candidata sindaco del centrodestra, osa scendere in piazza, sempre il 25 Aprile, spingendo la carrozzella dell'anziano padre, Paolo Brichetto, ex deportato a Dachau e partigiano medaglia d'argento al valor militare. Scelse la Resistenza liberale, quella della brigata Franchi di Edgardo Sogno. Quella sbagliata, per i sinistri. In più la figlia è berlusconiana. Risultato: fischi, minacce, insulti e sputi.

IL CORONAVIRUS Oggi

Berlusconi, opposizione, certo, ma responsabile, vede un lato positivo nella trincea della pandemia: «Abbiamo saputo essere nazione, ritrovarci insieme». Nonostante il virus dell'antiberlusconismo non sia del tutto debellato.

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