«Ora basta con la fuga di notizie» Il procuratore mette in riga i pm

Il giro di vite di Spataro: «Pronto a denunciare le toghe al Csm sulla pubblicazione di intercettazioni irrilevanti»

No alla giustizia-spettacolo. Stop alla pubblicazione indiscriminata delle intercettazioni. Regole chiare nel rapporto coi giornalisti. E per i magistrati che non ci stanno, procedimento disciplinare.Quando Armando Spataro ha messo in fila i concetti del suo ragionamento, se l'è cavata senza che nessuno lo definisse eversore. Persino il direttore della Stampa e da gennaio di Repubblica, Mario Calabresi, come riferiscono le cronache locali del suo futuro giornale, s'è limitato a derubricare a fenomeno naturale le tensioni tra magistratura e giornalismo. Lontani, insomma, i tempi delle crociate contro i sostenitori dell'equilibrio tra media e giustizia, quando bastava non condividere il protagonismo mediatico di alcune toghe per essere confinati nel girone dannato dei nemici della Repubblica, che fosse quella italiana o il quotidiano (tanto, era uguale).Il procuratore capo di Torino il suo pensiero l'ha espresso davanti ad una platea nella quale sedevano giudici e penalisti. Con loro, insieme a Calabresi, un nugolo di cronisti. «Se un magistrato decide di amministrare la notizia come fosse una cosa propria, violando il codice disciplinare, io lo denuncio al Csm», ha sintetizzato Spataro, in magistratura dal 1975 ed all'ombra della Mole da un anno e mezzo, dopo una carriera da sostituto e poi da aggiunto a Milano, in coda a un decennio passato ad occuparsi di terrorismo, passando dalle Brigate Rosse all'islamismo combattente. Nel mirino, gli eccessi delle procure. I rimedi? Semplici. Basta conferenze stampa, «che servono solo in casi eccezionali», ha osservato Spataro. Meglio un comunicato stampa, che non si presta a fraintendimenti. Niente più relazioni confidenziali tra pm e giornalisti: preferibile un rapporto «più centralizzato e meno spettacolarizzato, ma anche collaborativo». Pure perché i giornalisti devono sì avere accesso agli atti delle inchieste, «ma da un certo momento in poi». E soprattutto, «soltanto dopo che un giudice abbia deciso che cosa è rilevante e cosa no». Ad iniziare dalle intercettazioni. Il segnale di un'inversione di rotta delle toghe? Spataro il suo punto di vista l'aveva esposto già a maggio, nel corso di un convegno delle Camere Penali. «È una fortuna che sia finita l'era di Mani pulite e di Di Pietro», aveva detto in quell'occasione, denunciando le «degenerazioni italiane: magistrati che sfruttano il processo famoso per curare la propria icona, avvocati che tendono a trasferire il processo in Tv per promuoversi, giornalisti che non cercano riscontri ma inseguono misteri».

Oggi come allora, le sue parole non hanno superato le mura torinesi, capaci di trattenere anche il fastidio «per quei colleghi che si propongono come gli unici eroi che lottano per bene mentre tutto attorno c'è il male, e loro sono una sorta di Giovanna d'Arco». Nulla. Figurarsi un richiamo in prima. Non fa notizia né proseliti, la solitudine del giudice normale.

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