Guerra in Ucraina

"Per ora è deterrenza. Ma questo è il segnale che Putin è insicuro"

L'ex diplomatico e ora presidente Ispi: "Dal Cremlino una mossa intimidatoria, ma significa che la situazione sul terreno non sta andando come pensava"

"Per ora è deterrenza. Ma questo è il segnale che Putin è insicuro"

Giampiero Massolo, una vita nella diplomazia. Prima alla Santa Sede e poi a Mosca, ai tempi dell’Unione sovietica. Passa all’ufficio diplomatico del presidente del Consiglio dei ministri, poi diventa Segretario Generale della Farnesina e, infine, è a capo del Dis, il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza. Oggi è presidente di Fincantieri e dell’Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazionale.

Putin ha allertato il sistema nucleare di deterrenza. Dove finisce la strategia bellica di Mosca e dove inizia il pericolo di una guerra atomica?

In questa vicenda ci sono tre fattori. Il primo: ci troviamo davanti a un conflitto che ha avuto nei suoi aspetti psicologici, di narrativa e di informazione, una componente molto forte. Putin ha fatto una mossa intimidatoria per provocare una reazione occidentale. Il secondo elemento: se Putin avesse la percezione di avere sul terreno una situazione agevole in grado di fargli realizzare i suoi obiettivi, sicuramente non parlerebbe così. Questo denota una componente di insicurezza rispetto a una situazione che credeva più agevole. Terzo ed ultimo fattore: Putin ha allertato i dispositivi a sua disposizione. È una fase di deterrenza, quindi difensiva e non offensiva.

L’Italia è preparata a una guerra nucleare?

L’Italia è membro dell’Alleanza atlantica e, come tale, si giova dell’ombrello nucleare alleato, in particolare di quello che gli Stati Uniti mettono a disposizione della Nato, secondo quanto prevede il Trattato del Nord Atlantico. Da questo punto di vista, abbiamo un’alleanza militare che prevede delle disposizioni e garanzie specifiche.

Biden ha affermato che l’unica alternativa alle sanzioni sarebbe stata una guerra mondiale. Esiste davvero questo rischio?

L’Alleanza atlantica ha detto fin dall’inizio che, nel caso della crisi ucraina, non sarebbe ricorsa ad azioni militari perché l’Ucraina non è membro della Nato. Non scatta un obbligo di difesa collettiva. Nel caso di Kiev, scatterebbe al massimo l’articolo 4, ovvero la possibilità di consultarsi in caso di situazioni di crisi che possono compromettere la sicurezza dell’Alleanza atlantica. L’Occidente ha deciso di affidarsi a sistemi di dissuasione molto pesanti ma non armi, quindi riguardano essenzialmente l’apparato sanzionatorio.

Quello che la Guerra fredda aveva imposto - una sorta di stallo alla messicana tra le potenze nucleari - sembra ormai svanito. Cosa è cambiato?

Nei decenni passati, si pensi soltanto alla crisi dei missili di Cuba, si parlava molto di equilibrio nucleare tra la Nato e Patto di Varsavia. La convinzione era che un attacco militare di una delle due parti avrebbe provocato una reazione dell’altra. Questo era noto come l’equilibrio del terrore. Finita la Guerra fredda con la vittoria dell’Occidente, si era pensato che questo pericolo fosse lontano perché la Russia non era più considerata un nemico credibile. Si pensava inoltre che i conflitti fossero essenzialmente economici e commerciali. La realtà però bussa sempre alla porta: gli arsenali nucleari ci sono ancora e sono di nuovo lì - ammesso che ci sia stato davvero un periodo in cui non lo siano stati - a ricordarci che le crisi internazionali devono essere gestite in limiti che non le facciano sfuggire di mano. Ma è anche una forma di garanzia: il fatto che ci siano due parti pesantemente armate da un punto di vista nucleari fa sì che non ce ne sia una che è destinata a prevalere. Che si minacci e che si evochi la possibilità fa parte delle regole del gioco. In realtà, le guerre oggi si combattono in varie maniere: non solo sul terreno, ma con strumenti sanzionatori, con quelli della cibernetica, con l’uso dell’intelligence. Tutto questo ha arricchito gli arsenali e reso le guerre cose più articolate. Ma l’equilibrio nucleare non è ancora finito. È ancora lì. Ed è allo stesso tempo minaccioso e garantista.

Con l’invasione dell’Ucraina, Putin ha alzato troppo l’asticella del confronto con l’Occidente?

Temo che Putin abbia (e stia) cercato di ingoiare un boccone molto grande: probabilmente ha corso un rischio enorme. Ha pensato che la possibilità che ha di usare armi, intelligence e diplomazia avrebbe intimidito l’Occidente e, così facendo, avrebbe costretto gli occidentali a rinegoziare gli assetti del mondo e dell’Europa secondo una logica di sfere di influenza. Si è però trovato di fronte a una grande compattezza dell'Occidente. Ha pensato che la sua superiorità militare sul terreno gli rendesse vita facile nella conquista dell’Ucraina e nell’avvicidentamente di un governo - quello di Zelensky, che percepisce come ostile - con un governo fantoccio. Gli ucraini stanno imponendo una resistenza strenua. Quella che si profila non è una vittoria, ma una vittoria mutilata. Putin ora si trova davanti una situazione di guerriglia sul terreno destinata a durare. Ha inoltre sottovalutato l’opinione pubblica interna: scendere per strada in Russia denota un malessere profondo perché implica dei rischi che in Occidente sono sconosciuti. Le manifestazioni alle quali stiamo assistendo sono allo stesso tempo un atto di eroismo e di resistenza molto forti. E poi ci sono gli oligarchi: un conto è fare soldi con l’insider trading, un altro essere coinvolti in avventurismi e destabilizzazioni che al business non fanno mai bene.

Diversi Paesi europei, tra cui l’Italia, hanno chiuso il proprio spazio aereo a Mosca. Questa decisione, unita alle sanzioni, può davvero mettere in crisi il Cremlino?

Un giorno, forse, torneranno degli spazi di negoziato. La diplomazia non si ferma mai ed è giusto così. Ora però è il momento della fermezza e della compattezza perché non si dialoga con la pistola alla tempia. Non è poi vero, come dicono alcuni, che le sanzioni non mordono. A parte le sanzioni energetiche, dove è vero che ci rimettiamo. Bisogna però tenere presente che Putin deve vendere il gas e non è detto che riesca a venderlo alla Cina, almeno in eguale quantità, perché i gasdotti di Pechino non sono molto sviluppati. Togliere alla Russia l’accesso ai mercati finanziari è inoltre un danno molto grave. Infliggere sanzioni economiche e commerciali sulle forniture di prodotti tecnologici, non prontamente rimpiazzabili dalla Cina, è un danno altrettanto grave. In Russia l’orgoglio nazionale, il sentirsi potenti, è un fattore che incide sull’opinione pubblica, soprattutto delle persone che vivono fuori dalle grandi città. Detto questo, nel momento in cui infliggi delle restrizioni di movimento e colpisci i capitali di chi governa il Paese, è un danno di reputazione agli occhi dei russi. Tutti questi fattori rendono estremamente più complicata la situazione.

Le sanzioni dell'Occidente a Mosca sono le più dure imposte sino ad ora. Certamente hanno l’obiettivo di colpire il Cremlino. Ma non c’è il rischio di infliggerci danni da soli, vista la dipendenza italiana, per esempio nel campo dell’energia, dalla Russia?

Dietro di noi si nascondono anche altri Paesi che sono più vulnerabili e a volte meno compatti di noi. Pensiamo per esempio alla Germania, dove si pensa di riattivare le centrali a carbone. Bisogna limitare i danni e trovare accomodamenti. Nel migliore dei mondi possibili si sviluppa e si collabora insieme. Ma questo non è il migliore dei mondi possibili e bisogna trovare accomodamenti. Infliggere danni all’avversario, evitando grandi danni a noi, come ha detto Biden. Ma non si esce indenni da tutto questo.

A proposito di Germania, in futuro dove si potrà recuperare il vuoto energetico provocato da un eventuale stop definitivo a Nord Stream?

Questa crisi offre all’Europa dei seri motivi di riflessione su quello che deve essere il mix energetico sicuro, i tempi e le modalità della transizione energetica. Quanto ai tempi, lo lasciamo ai tecnici, ma non potranno essere così rapidi come avremmo voluto e auspicato. Ci dovrà essere un rallentamento. In quanto al mix, credo che questo discorso verrà approcciato con spirito laico: il gas è importante, le rinnovabili pure. Ma non si può prescindere da un discorso serio sul nucleare pulito e, almeno emergenzialmente, dalla riattivazione di alcune centrali a carbone. Come pure l’aumento delle fonti nazionali di gas, che potrebbe essere anche superiore rispetto alle aspettative e che negli anni abbiamo trascurato; la costruzione di rigassificatori; l’idea che ci potrebbe essere un raddoppio del Tap. Sono tutti aspetti che devono essere urgentemente considerati.

È una attività da Paese maturo.

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