"Ora l'Ucraina". Ma non sarà così facile

Putin vuole un impero e l'annientamento di Kiev. Il nodo dell'economia di guerra e il peso cinese

"Ora l'Ucraina". Ma non sarà così facile
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In piena trance messianica, durante il suo discorso di ieri alla Knesset di Gerusalemme, Donald Trump ha promesso che la prossima guerra della cui soluzione si occuperà sarà quella d'Ucraina. Sarebbe la nona, secondo i suoi personalissimi conteggi. Mettere d'accordo i due Vladimiri Putin e Zelensky avrà anzi, nell'agenda fittissima del presidente degli Stati Uniti, la priorità perfino sul nodo iraniano, che in qualche modo rappresenterebbe un complemento dell'opera già compiuta in Medioriente.

Parola di Donald Trump, che peraltro subito prima di lasciare Washington per raggiungere Israele e l'Egitto aveva avuto due conversazioni telefoniche proprio con Zelensky. Anche queste, come le precedenti, molto produttive, secondo il presidente ucraino che continua a insistere per ottenere dagli americani il necessario per migliorare la difesa aerea del suo Paese, ma anche quei missili a lunga gittata che cambierebbero molte cose. Sarebbe riduttivo affermare che Trump sia così impegnato nella soluzione di controversie internazionali solo per coronare il sogno di ricevere il premio Nobel per la Pace. A ben vedere, il presidente che è stato eletto per limitare gli impegni militari all'estero e per concentrarsi sui temi interni molto cari alla sua base "Maga" probabilmente ritiene oggi che riuscire a plasmare un ordine internazionale meno problematico gli consentirà di avere poi più tempo e mente più libera per soddisfare i suoi elettori.

Trump ripete spesso - lo ha fatto anche ieri in Israele - che ciò che lo contraddistinguerebbe dai suoi predecessori è la sua capacità di mantenere le promesse. È quindi logico aspettarsi che si impegnerà seriamente anche nella soluzione del conflitto russo-ucraino. Che questa impresa sia perfino più ardua di quella mediorientale lo dimostra non solo il fatto abbia dovuto riconoscere a denti stretti che egli stesso ne aveva sottovalutato le difficoltà ("risolverò la crisi nelle prime 24 ore del mio mandato"), ma anche che abbia dovuto modificare almeno per il momento: l'imprevedibilità di Trump è ormai una regola il suo atteggiamento nei confronti di Putin.

Razionalmente, con la Russia sarà più difficile che con i palestinesi e i loro pur bellicosi alleati. Putin ha chiare ambizioni imperiali e ha trasformato il suo Paese in un'autocrazia con un'economia di guerra. Il suo obiettivo non è, come Trump vorrebbe credere o fingere di credere, un compromesso con l'Ucraina, ma la sua cancellazione dalla carta geografica. Inoltre, Putin ha innalzato a livelli di guardia non solo la retorica anti occidentale, ma anche la messa in pratica di azioni ostili di guerra ibrida contro i Paesi Nato. In più gode dell'assistenza del "fratello maggiore" cinese che ha tutto l'interesse che l'Occidente si dissangui sui campi dell'Ucraina e su cui, per il momento, ogni tipo di braccio di ferro commerciale si è dimostrato inefficace. La strategia puramente transazionale, così cara a Trump, ha dimostrato di funzionare in un contesto come quello arabo che tutto sommato ragiona negli stessi termini. Nella guerra "europea" sono in ballo grandezze e principi, come identità e ambizioni imperiali di potenza, con cui gli americani sembrano avere per il momento più difficoltà.

Tuttavia, Trump ha dimostrato di saper ottenere risultati insperati

anche se dovranno passare al vaglio del tempo - attraverso le sue tecniche poco ortodosse sintetizzabili con "pace attraverso la forza". C'è dunque da augurargli successo, se non pretenderà di farlo pagare ai soli ucraini.

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