E brava Ursula von der Leyen. "Le nostre politiche hanno contribuito all'emergere della Cina nelle tecnologie green; serve una reazione per scongiurare nuove dipendenze", il suo "mea culpa" tardivo in vista del Consiglio Ue iniziato ieri. Una prima ammissione che segue l'apertura, da lei espressa, ad anticipare la revisione delle norme che prevedono il solo "tutto elettrico" dal 2035 e l'addio alla produzione di auto con motore endotermico. Applausi dai leader Ue che "accolgono con favore" l'ipotesi di una "revisione del regolamento sulle emissioni" e chiedono una "rapida presentazione di un'altra proposta". Green Deal che è un suicidio per l'industria e il suo indotto i cui segnali drammatici sono già tangibili tra chiusure di fabbriche, lavoratori mandati a casa, costruttori che non sanno che pesci pigliare e un mercato allo sbando. Porsche, per esempio, ora affidata all'ex Ferrari, Michael Leiters (succede a Oliver Blume, che resta a capo del gruppo Volkswagen), ha cambiato strategia: rimangono i motori termici con la contestuale frenata alla "scossa" elettrica. Per non parlare del cambio di rotta avviato anche in casa Stellantis.
Allarme che ieri la premier Meloni ha trasmesso senza mezzi termini a von der Leyen: la necessità di urgenti provvedimenti a sostegno del settore automotive e delle industrie ad alto consumo energetico, in particolare sul fronte della riduzione dei prezzi dell'elettricità.
"Lo ribadiamo con forza da mesi che non è più possibile mantenere inalterate le attuali limitazioni imposte dal regolamento Ue sulle emissioni di CO2 - avverte il leader della Federazione metalmeccanici, Ferdinando Uliano -: il comparto europeo rischia di essere travolto, con gravi ripercussioni. Solo in Italia si stimano oltre 70mila posti a rischio".
A Bruxelles, intanto, si continua a parlare, promettere, ma non si agisce. La neutralità tecnologica, ovvero l'apertura a tutte le tecnologie green, oltre a quella elettrica, rimane sempre alla finestra insieme all'utilizzo dei biocarburanti e degli e-fuels.
Del resto, Ursula von der Leyen, si trova tra due fuochi: c'è chi appoggia la svolta nel "suo" Ppe, mentre altri, come il co-presidente dei Verdi Ue, Bas Eickhout, la mette in guardia: "Stiamo assistendo al più grave attacco al Green Deal da quando è stato presentato il progetto. Attaccare il Green Deal significa attaccare l'industria e l'economia europee, nonché la sicurezza energetica e delle risorse, bloccando miliardi di investimenti nelle tecnologie verdi".
E l'ex ministro francese Luc Chatel, presidente della Plateforme automobile: "Si smetta di ridurre il dibattito pubblico sul 2035 a Totem e Tabù: il totem della data, il tabù dell'approccio al tutto elettrico. La questione non è a favore o contro il 2035. Il vero problema è evitare il crollo dell'industria europea". E precisa: "La tecnologia elettrica, in cui i nostri produttori hanno investito massicciamente, rimane una delle soluzioni più efficaci per la decarbonizzazione. Il risultato peggiore sarebbe di perdere la scommessa della neutralità carbonica entro il 2050 e, allo stesso tempo, aver affossato la nostra industria, cancellando 3.500 imprese e 350.000 occupati".
La replica di Roberto Vavassori, presidente di Anfia: "La Francia sostiene ancora la sua industria o è pronta a sacrificare uno dei suoi ultimi simboli industriali? Quello che si sta discutendo a Bruxelles è proprio la questione della sopravvivenza a lungo termine dell'industria europea nel suo complesso. Le scelte normative di ieri si scontrano con la realtà odierna: i consumatori non sono affatto pronti per il solo tutto elettrico, il mercato europeo sta crollando e nulla ha fermato l'offensiva cinese".