Donald Trump fa una mezza marcia indietro e riaccende le speranze dei curdi. Domenica, dopo una lunga telefonata con il leader turco Recep Tayyip Erdogan, il presidente americano aveva ordinato alle truppe statunitensi di ritirarsi dal Nord-Est della Siria e lasciare libero il campo all'intervento turco, più volte minacciato da Erdogan. Ma ieri ha corretto in parte il tiro, anche per la pressione del Congresso e del Pentagono, scioccati dall'abbandono degli alleati curdi, cruciali nella distruzione dell'Isis. Trump ha minacciato di distruggere l'economia turca se Ankara dovesse «andare oltre i limiti». La Turchia «non dovrebbe fare nulla al di fuori di ciò che pensiamo sia umano», ha tuonato. E ha anche precisato che ci sarebbero «grossi problemi» se «qualcuno della nostra gente si ferisse».
Gli Stati Uniti hanno circa 1.100 soldati in Siria, ma solo una cinquantina sono stati ritirati dalla zona di confine, secondo fonti del dipartimento di Stato. Anche il portavoce del Pentagono Jonathan Hoffman ha ribadito che gli Stati Uniti: «Non appoggiano un'operazione turca nella Siria settentrionale». Il ministero della Difesa della Turchia ha invece dichiarato che «tutti i preparativi per l'operazione sono stati completati», e ha spiegato come l'istituzione di una tale zona sia «essenziale» per i siriani e per la pace nella regione.
Di certo serve alla ambizioni di potenza della Turchia. All'Assemblea generale delle Nazioni Unite, Erdogan ha mostrato una mappa che mostra una «zona di sicurezza» lunga 480 chilometri e profonda 30 lungo il confine con la Siria, che vorrebbe portare sotto il suo controllo. Servirebbe a trasferirvi fino a due milioni degli oltre 3,6 milioni di rifugiati siriani che vivono attualmente in Turchia. Alcuni analisti sono allarmati da questo piano perché potrebbe essere una mossa di «ingegneria demografica», ovvero gli arabi potrebbero mettere in minoranza la popolazione curda, che costituire circa il 70 per cento degli abitanti del Rojava.
Le forze curde sono state le principali alleate degli Stati Uniti nella battaglia contro lo Stato Islamico in Siria. Ma la Turchia considera le milizie curde come terroristi. Le preoccupazioni riguardano le Ypg, braccio armato del partito Pyd, a sua volta con stretti legami con il Pkk turco. Anche se le Ypg sono state inserite dagli americani all'interno delle Sdf, Ankara teme l'egemonia curda all'interno del gruppo. Lo Ypg ha legami molto forti con il Pkk, un gruppo armato che combatte in Turchia dal 1984 per una maggiore autonomia della minoranza curda del paese. La Turchia considera il Pkk come una minaccia alla sicurezza nazionale e all'integrità territoriale. Per questo il primo obiettivo di Erdogan è allontanare i militanti curdi dal confine turco e di impedire loro di formare quello che definisce un «corridoio del terrore» sul confine meridionale del paese. Il ritiro americano è stato fortemente criticato dagli alleati repubblicani di Trump. Ma anche i principali esponenti del partito democratico si sono pronunciati duramente sulla decisione di Trump. Hanno esortato Trump a «esercitare la leadership americana» e mantenere le truppe statunitensi nel nord della Siria. Ma ciò che preoccupa non solo Washington ma anche l'Europa è la possibilità del risorgere dell'Isis. Non tutti i combattenti dello Stato islamico sono stati imprigionati o uccisi e c'è il rischio che l'area venga destabilizzata ancora una volta da cellule dormienti.
La decisione degli Stati Uniti di ritirare le truppe preoccupa anche Israele, per la presenza iraniana al suo confine con la Siria.
Secondo lo Stato ebraico l'Iran sarebbe agevolato nel trasferire armi attraverso l'Iraq e la Siria all'Hezbollah libanese. I gruppi umanitari, nel frattempo, sono allarmati per le conseguenze sui civili. Sono 760.000 gli sfollati che vivono nell'area e se questa diventasse un campo di battaglia sarebbe una carneficina.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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