Preoccupato, avvocato Pensa?
«No. Sono sereno perché so quello che Attilio Fontana ha fatto e soprattutto quello che non ha fatto. Non ha avuto alcun ruolo nell'accordo di fornitura dei camici, non c'è alcuna traccia in questo senso e anzi ci sono elementi precisi che escludono un suo ruolo. E quello che ha fatto dopo è solo un sovrappiù di scrupolo e di onestà».
Jacopo Pensa, vecchio leone dell'avvocatura milanese, oggi o domani andrà in Procura, per parlare con i pm che hanno incriminato per turbativa Attilio Fontana, presidente della Lombardia. «Ci vado - dice - con animo tranquillo, perché so di avere davanti magistrati seri».
Processualmente parlando, come è messo Fontana?
«Questa inchiesta mi sembra la favola del lupo e dell'agnello, dove le accuse vengono cambiate in continuazione. Sono partiti da un'ipotesi di interferenza nella vendita dei camici, sta a vedere che c'è stato un favoritismo, hanno fatto lavorare il cognato del presidente. Poi hanno dovuto acquietarsi all'idea che Fontana dell'accordo non ne ha saputo niente. Adesso salta fuori questa storia del bonifico».
Converrà che non è bellissima.
«Non convengo affatto. Sa cosa succede? Che Fontana viene a sapere della fornitura della Dama, lui pensava che fosse a titolo gratuito come altre che Dini aveva fatto a ospedali e altri enti. Quando scopre che invece è a titolo oneroso prega il cognato di rinunciare, non c'è niente di male ma non sia mai che vengano a farci le pulci».
Perché allora il bonifico?
«A un certo punto Fontana, che è una persona di coscienza, si è rammaricato del salasso che aveva imposto al cognato: è sacrosanto non procurare vantaggi ai parenti, ma non era neanche giusto fargli perdere mezzo milione. Così decide di dividere con lui il sacrificio e di mandargli 250mila euro. In pratica Fontana decide di partecipare per il 50 per centro al costo della donazione dei camici alla Regione. È un atto di generosità del tutto inconsueto, anzi credo senza precedenti da parte di un amministratore pubblico. Vogliamo trasformarlo in un reato?»
Però la banca svizzera blocca tutto e segnala l'operazione alla Banca d'Italia. Perché Fontana non rese noto pubblicamente il suo ruolo?
«Bisogna conoscerlo, Fontana... Era talmente pulita l'operazione, talmente finalizzata a scopi nobili, che non gli è venuto neanche in mente. Il fatto che non ci abbia pensato è la prova della buona fede. D'altronde se uno vuole fare una operazione sporca non la fa su un conto intestato a lui, tracciato e tracciabile, firmando personalmente il bonifico».
Crede che i pm si convinceranno?
«Per rispondere devo prima parlare con loro, perché da sabato so solo quello che leggo sui giornali. Adesso pare che intendano contestare una sfumatura, e cioè che la fornitura dei camici non sia stata fatta per intero, perché anche se era una donazione andava ultimata. Non capisco bene che reato potrebbe essere, ma di sicuro non è una decisione che si può attribuire a Fontana».
Intanto l'attenzione si è concentrata sul conto svizzero scudato.
«Se i magistrati vogliono andare a vedere cosa c'è dietro quel conto noi siamo felici, perché non troveranno altro che una normale, lecita operazione di scudo come ne hanno fatte tantissimi italiani».
Cinque milioni lasciati dalla mamma. Non sono tanti per una dentista?
«Non deve chiederlo
a me, non so quanti denti abbia aggiustato la mamma di Fontana. Dietro c'è una famiglia della buona borghesia, che al termine di una vita di lavoro si arrivi a una cifra simile non è strano. Ci sono dentisti ricchissimi».
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