Guerra in Ucraina

"Ormai l'identità collettiva è costruita sulle catastrofi"

Lo storico della filosofia sulla crisi attuale: "Oggi siamo tutti spettatori. Ma occhio all'uso politico della pietà"

"Ormai l'identità collettiva è costruita sulle catastrofi"

Andrea Tagliapietra insegna Storia della Filosofia all'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e ha appena curato, per Raffaello Cortina editore, una antologia intitolata Filosofie della catastrofe: si parte dall'1 novembre 1755, giorno del terremoto devastante di Lisbona, che ispira a Voltaire il celebre Poema; si prosegue con la Lettera di risposta firmata da Rousseau; si passa per le riflessioni filosofico/scientifiche di Kant e si arriva... all'oggi.

Parliamo sempre di catastrofi.

«Non si smette mai di usare questa parola. Perché oggi si immagina un inverno nucleare, ieri si diceva per la pandemia, l'altro ieri per un attentato... La catastrofe appartiene al panorama contemporaneo: è il fulcro in cui si concentra l'identità collettiva».

Come?

«Ci accomuna nella condizione di spettatori. I media vivono delle catastrofi, anche se non possono davvero rappresentarle: si pensi a Mariupol. Al centro c'è un orrore che può essere raccontato, ma non visto davvero. Ed è quello che fa infervorare Voltaire».

Perché?

«Per l'indifferenza di chi, a Parigi, parla del terremoto, e intanto balla. Un conto è la compassione, per cui soccorro una persona che ha bisogno; un conto è l'uso politico della pietà, che serve a mobilitare gli spettatori».

Intervenire non serve?

«Come diceva già Hannah Arendt, l'intervento è di due tipi: parlare, e pagare. Il terremoto di Lisbona è il primo evento catastrofico che mobilita una specie di opinione pubblica: i resoconti sono così impressionanti che tre filosofi come Voltaire, Rousseau e Kant riflettono sull'evento».

Il pamphlet più famoso è quello di Voltaire.

«Il Poema è un successo editoriale incredibile. Voltaire si indigna, in modo molto attuale: come possiamo essere innocenti, noi che guardiamo gli altri soffrire?»

È attuale anche il suo senso dell'ingiustizia subita.

«Certo, perché, che le vittime siano colpevoli o innocenti, la pena, che mette tutti sullo stesso piano, è spropositata: e Voltaire reagisce contro chi cerca spiegazioni alla smisuratezza del male, come per esempio fa Rousseau. Il male è su questa Terra dice Voltaire, e lo dice nel cuore dell'Illuminismo».

Kant dice, invece, che il vero flagello è la guerra.

«La catastrofe è inscritta in una specie di trasformazione malvagia del progresso; e i mezzi di distruzione, oggi, sono smisurati. Però nel '700 almeno parlavano apertamente di guerra... Dopo Lisbona, Dio sparisce ed è sempre l'uomo a essere imputato delle catastrofi che accadono, dalle Guerre mondiali alla Shoah, a Hiroshima. Anche questa guerra è una catastrofe perfettamente umana».

Prima la pandemia, poi la guerra: nelle catastrofi crollano anche le nostre certezze?

«Sono collegate: entrambe minano l'idea che il futuro sarà uguale al presente. La pandemia ha mostrato che ci saranno eventi sempre più ingovernabili».

E la guerra?

«Dimostra che l'idea del mondo come un mercato unico in cui tutti lavorano e in cui c'è una uniformità - l'idea ridicola della fine della storia - sia andata a farsi benedire. Le sanzioni indicano che non esiste più un mercato globale e che una fetta, potente, del mondo ne è esclusa. Vanno in crisi sia la certezza della globalizzazione, sia l'idea che la globalizzazione sia neutrale. Del resto, catastrofe in greco significa svolta».

Con una doppia catastrofe...

«Secondo Montesquieu, il commercio avrebbe portato la pace. E invece ora ci viene il dubbio: bastano i commerci a trasformare le politiche, le culture e le cose, a portare la democrazia e la libertà?»

Mmmmh...

«Se no, allora torneremo a un mondo frammentato, in cui ci resta solo la catastrofe, a unificarci».

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