Arrestate, private dei diritti civili oppure espulse e spedite in Germania, mentre alcuni dei figli, da cui venivano separate, intanto venivano rinchiusi in manicomio. È per questo orrore che ieri la premier norvegese Erna Solberg ha chiesto ufficialmente scusa alle «ragazze tedesche». Così le chiamano. Anche se in realtà si tratta di donne norvegesi a tutti gli effetti. Quel «tedesche» è l'onta che si portano addosso dai tempi della Seconda Guerra mondiale, quando la Norvegia (neutrale) fu invasa dalle forze naziste nel 1940 e loro ebbero relazioni sentimentali e sessuali con i 350mila invasori (o furono anche solo sospettate di averne). «Per molte si trattò solo di un amore di gioventù, per alcune dell'amore della vita con un soldato nemico oppure di un flirt innocente che ha lasciato il segno per il resto delle loro vite», spiega la premier. Una «colpa» che non fu perdonata dalle autorità norvegesi, promotrici e artefici di vere e proprie rappresaglie ai loro danni dopo la liberazione.
«Queste donne furono vittime di un trattamento indegno», ha spiegato la premier Solberg parlando in occasione del 70esimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. «La nostra conclusione è che le autorità norvegesi hanno violato il principio fondamentale per il quale nessun cittadino può essere punito senza processo o processato senza una legge. Oggi, nel nome del governo, voglio offrire le mie scuse», ha aggiunto la prima ministra.
Dichiarazioni importanti, anche se a distanza di settant'anni quasi nessuna delle donne coinvolte, che si stima siano fra le 30mila e le 50mila, è più in vita e potrà chiedere un risarcimento. Restano però i figli di quell'orrore, fra i 10mila e i 12mila bambini nati da quelle unioni. Molti dei quali cresciuti nei centri maternità Lebensborn gestiti proprio dai nazisti, che vedevano con favore e promuovevano le relazioni con donne norvegesi.
I soldati tedeschi erano incoraggiati dal capo delle SS Heinrich Himmler, convinto che nessuna meglio di loro potesse portare avanti la razza ariana e il Progetto Lebensborn (Sorgente di Vita), con cui il gerarca pensava di realizzare le teorie eugenetiche del Terzo Reich mentre nel frattempo studiava l'eliminazione spietata e scientifica degli ebrei. Le mamme norvegesi che potevano provare di avere in grembo figli di discendenza ariana ottenevano dai nazisti sostegno economico e potevano lasciare i loro bambini nei centri Lebensborn, dove venivano nutriti con un'alimentazione speciale e istruiti in base all'ideologia nazista. Figli della vergogna vittime due volte. Perché finita la guerra, furono puniti come e peggio delle loro madri, strappati alle loro braccia, affidati a famiglie «adottive» o inseriti in strutture pubbliche, alcune anche per malati mentali. Occhi chiari e capelli biondi erano ovviamente le caratteristiche preferite. E tra i «figli della vergogna» c'è Anni-Frid «Frida» Lyngstad, una delle cantanti del celebre gruppo Abba, nata durante l'occupazione dall'unione tra un ufficiale nazista e una donna norvegese, e portata via dalla nonna in Svezia, alla fine della guerra, per evitare i maltrattamenti.
«Offrire delle buone scuse può avere un grande significato per i figli di queste donne», dice il capo del Centro per l'Olocausto e lo studio delle minoranze, Guri Hjeltnes, che si è occupato delle ricerche sulle rappresaglie post-belliche e ha pubblicato un rapporto dettagliato sulle
vendette subite dalle donne e dai loro bambini. Alcuni di loro cercarono di portare la Norvegia di fronte alla Corte europea dei diritti umani nel 2007 ma il ricorso non fu ammesso perché troppo tempo era passato dai fatti.
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