Pacchi esplosivi ai magistrati. Smantellata rete di anarchici

Tre in manette: il Ros li ha intercettati per mesi e sta per incastrare l'intera struttura. Torinesi, invii da Genova

Pacchi esplosivi ai magistrati. Smantellata  rete di anarchici

Milano - «Sono stufa di tutta questa roba, voglio mettere le bombe. Un anarchico, da vecchio cosa fa?». Più di un trattato di sociologia, a spiegare come nell'Italia del terzo millennio si arrivi a mandare lettere esplosive pensando di riparare a chissà quale torto, basta l'intercettazione in cui Natascia Savio, torinese, trentacinque anni, confida ad un'amica la sua malinconia di rivoluzionaria in disarmo.

Per cui, ecco le bombe: le tre lettere a base di polvere pirica che la Savio, insieme ai compagni Giuseppe Bruna e Robert Firozpoor, mandano ai pm di Torino Antonio Rinaudo e Roberto Sparagna, colpevoli di avere indagato e arrestato nella «galassia antagonista»; e insieme a loro a Santi Consolo, capo delle carceri, messo nel mirino come responsabile delle condizioni di detenzione dei «compagni detenuti».

Finiscono tutti in cella ieri mattina: mentre loro si affannavano a preoccuparsi del Dna che temevano di avere lasciato sulle buste, lo Stato li aveva già identificati, in una manciata di giorni dall'arrivo dagli ordigni, con una tecnica investigativa così efficace da risultare quasi inquietante. Nulla di quello che facciamo può restare segreto, verrebbe da dire. Per un anno, dopo avere identificato i tre, i carabinieri del Ros non hanno avuto altro da fare che seguirli passo per passo, intercettandoli in ogni dove, fotografandoli, registrandoli mentre si incontravano con i compagni di tutta Italia. Ne è uscito il ritratto in presa diretta di un mondo di mitomani, a metà strada tra le battaglie sociali contro la Tav e il terrorismo bello e buono. Gente come la Savio che vede lo Stato-sbirro in agguato dietro ogni angolo, al punto di non farsi gli esami per il tumore al seno per paura che le prendano il Dna; eppure dannatamente pericolosi, in grado di colpire con spietatezza.

Uno dei «miti» del terzetto era Salvatore Vespertino, l'anarchico che per mettere una bomba a una libreria di destra a Firenze quasi ammazzava il poliziotto Mario Vece; un altro era il nigeriano Divine Umoru, quello che nella sua casa di Bologna teneva gli ingredienti e le istruzioni per realizzare decine di chili di esplosivo, e che incredibilmente per questo si è fatto meno di un anno di carcere: ed è subito tornato in circolo.

Le buste, che potevano ammazzare, arrivano in Procura e al ministero il 7 e il 12 giugno 2017. La notizia viene tenuta segreta. Il 21 giugno, frugando Internet, i carabinieri arrivano al phone center di Genova dove sono stati scaricati gli indirizzi di due avvocati torinesi, indicati come mittenti sulle buste-bomba. Il giorno dopo gli investigatori sono già al bazar cinese, vicino al phone center, dove sono state comprate le buste.

Ancora due giorni, ed ecco le riprese della telecamera della chiesa davanti: Firozpoor, che ha sul polpaccio un grosso tatuaggio, va a comprare le buste con i pantaloni a pinocchietto. Il tatuaggio è lì, inconfondibile: incastra lui, e a seguire tutti gli altri. Ora sono accusati di attentato terroristico: pena minima vent'anni. E la caccia ai complici è aperta.

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