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Pace appesa a un filo. L'ultima speranza è Draghi al Cremlino

"Si sta - diceva Ungaretti - come d'autunno sugli alberi le foglie". Ma per far capire quanto esili siano quelle foglie, e quanto imponenti i venti di guerra, basta guardare al Donbass.

Pace appesa a un filo. L'ultima speranza è Draghi al Cremlino

«Si sta - diceva Ungaretti - come d'autunno sugli alberi le foglie». Ma per far capire quanto esili siano quelle foglie, e quanto imponenti i venti di guerra, basta guardare al Donbass. Di certo sarà la Danzica dell'eventuale conflitto. Ma poco altro è chiaro. A partire dagli interrogativi su chi abbia più interesse a soffiare sul fuoco. Due giorni fa i primi a riaprire le ostilità sono stati i cannoni e i mortai ucraini. Una mossa utile soltanto ad offrire a Vladimir Putin il pretesto per la temuta invasione. Ma sul versante filo-russo non mancano certo le mosse tanto inedite quanto ambigue. Prima fra tutte il presunto attentato all'auto di un comandante saltata in aria, venerdì sera, nel mezzo della piazza principale di Donetsk. Un attentato senza precedenti seguito, ieri, dall'altrettanto sorprendente evacuazione di una popolazione filo-russa che in questi otto anni di guerra non ha mai pensato di lasciare le proprie case. Due episodi perfetti per creare, grazie all'inspiegabile apporto dell'artiglieria ucraina, lo scenario di una possibile invasione.

Uno scenario di cui Putin è il solo a possedere la chiave, grazie alla risoluzione della Duma che gli delega la decisione di annettere o meno le autoproclamate repubbliche indipendenti di Donetsk e Lugansk. Con quell'asso nella manica lo Zar può decidere quando e come far cadere l'esile schermo dei colloqui che ancora arginano i venti di guerra. E scegliersi i negoziatori a cui regalare, eventualmente, il merito di una pace in zona Cesarini. Congedato Scholz, incapace di strappare a Washington una moratoria sull'entrata dell'Ucraina nella Nato, Putin prepara oggi l'ultima telefonata con l'Eliseo. Ma solo l'impegno a riavviare gli accordi di Minsk 2, basati sull'autonomia delle regioni russofone, del Donbass, può garantirgli un'ultima chance. Washington, oltre a fidarsi poco di un Macron già in campagna elettorale, ostacola da sempre un'intesa considerata troppo favorevole alla Russia.

E allora l'ultimo estremo tentativo potrebbe spettare a un Mario Draghi pronto a partire già domani o martedì per il Cremlino. A quel tentativo guardano con molta attenzione sia Washington, sia Mosca. Negli Usa si scommette non solo sull'indiscussa fede atlantica del premier italiano, a cui non viene neanche chiesto di passare prima dalla Casa Bianca, ma anche sulla sua onestà intellettuale e sulla sua chiarezza. Due qualità apprezzate fin da quando l'ex presidente della Bce contribuì, d'intesa con l'amministrazione Obama, a frenare le restrittive politiche finanziarie imposte all'Europa da Berlino. Per Mosca Draghi è, invece, il rappresentante degli interessi economici di un Paese che non può rinunciare al gas e ai mercati di Mosca.

Quanto basta per consentirgli l'ultimo, estremo tentativo.

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