Guerra in Ucraina

"Pace o sarà un massacro. Bergoglio non desisterà"

L'intellettuale gesuita: "Francesco tiene aperto il dialogo, ma per i governi la tregua è una sconfitta"

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Padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, il presidente ucraino Zelensky dopo aver incontrato il Papa ha chiuso la porta a una mediazione vaticana. Come vanno lette le sue parole?

«Ci sono due logiche che corrispondono a due retoriche: una fondata sulla vittoria e una sulla pace. Nessuno dei due, Russia e Ucraina, vuol parlare di pace perché suona come una sconfitta. Si vuole parlare di vittoria. Il problema è che rischiamo di andare sempre di più verso il massacro. Le due parti cercano di arrivare a una posizione di privilegio mentre il Papa, in quanto leader etico, morale, d'impatto globale, punta alla pace. Vuole far sì che la sua casa, Santa Marta, diventi quel luogo d'incontro tra istanze differenti, perché si trovi una via possibile per una pace».

Forse anche a causa di questa retorica di guerra c'è stata una negazione da parte di Russia e Ucraina alla missione di pace di cui ha parlato Francesco?

«Si fa fatica a parlare di pace perché farlo sembra una sconfitta. La logica della guerra non prevede che si parli di mediazioni, ma di vittoria, mentre Il compito della Santa Sede è di provare a chiudere le ostilità. Ma se si vuole arrivare a una soluzione bisogna essere aperti a una mediazione necessaria».

Parlando con Zelensky il Papa ha chiesto «gesti di umanità», anche attraverso questi gesti si può raggiungere la pace?

«Certamente la diplomazia ha uno scopo etico e umanitario. Il Papa non ha uno sguardo geopolitico, non guarda alle dinamiche dei territori e delle forze in campo ma alla gente per alleviare le sofferenze e fermare le violenze. Il primo obiettivo è quello umanitario».

Non a caso per un possibile viaggio a Kiev Francesco mette come condizione di poter compiere un viaggio anche a Mosca...

«La diplomazia della Santa Sede tende sempre a cucire non a tagliare. Per tenere aperto il campo d'ascolto deve interloquire con entrambe le parti. Questo non riguarda però soltanto la diplomazia vaticana: oggi, ad esempio, un rappresentante della Cina andrà a Kiev e poi andrà a Mosca. Parlerà quindi con entrambe le parti. La diplomazia del Papa non è politica e proprio perché ha come obiettivo la soluzione del conflitto deve tenere aperto il dialogo con tutti».

In questo scenario qual è la posizione di Francesco?

«Non ha interessi di ordine economico o politico. È parte coinvolta come un padre o una madre può esserlo quando vede morire i suoi figli. Così lo è la mamma di un soldato ucraino così la mamma di un soldato russo che vede morire il figlio. Questa è la posizione del Pontefice. La Santa Sede può essere un luogo di mediazione per la pace».

La strada verso la pace può passare anche attraverso il dialogo con la chiesa ortodossa russa?

«La situazione è quella di un dialogo che rimane aperto. Sappiamo che il responsabile delle relazioni estere, Antonij, è stato a Roma e Kirill ha mandato un messaggio di auguri per i dieci anni di pontificato di Francesco. In fondo il Papa è l'unico leader religioso cristiano con cui tutti ancora parlano e qui sta la sua peculiarità. Il rischio è che le chiese, russa, ucraina o dell'Occidente in generale, appiattiscano le loro posizioni su quelle dei rispettivi governi. Il Papa invece vuole sottrarre il ruolo spirituale dal campo politico. Non vuole alleanze spurie in questo senso e trova nel dialogo interreligioso una delle possibilità per arrivare alla soluzione».

Cosa serve per arrivare alla soluzione?

«Forse una comprensione dei motivi dei conflitti, perché hanno sempre radici. In questo il Papa è molto attento e sa che nei conflitti sono in gioco, come lui li chiama, degli imperialismi o degli interessi. Bisogna mettersi a un tavolo insieme e capire perché certe cose accadono e risolverle.

Perché se rientriamo in una logica di guerra fredda non ne usciamo più».

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