Pace Stati Uniti-Cuba: è la fine del Novecento

Mancava il nodo dell'embargo con Cuba per dichiarare davvero chiuso il vecchio mondo. Ora la sfida è garantire al popolo un passaggio indolore

Castro parla ai prigionieri della "Baia dei porci" (1961)
Castro parla ai prigionieri della "Baia dei porci" (1961)

Il riavvio delle relazioni diplomatiche fra Stati Uniti e Cuba, e la fine dell'embargo dopo mezzo secolo, non segna soltanto una data storica, ma addirittura la fine di un'epoca: di quel Novecento che, con troppa rapidità, è stato definito «il secolo breve». Sarebbe iniziato nel 1914, con l'inizio della Prima guerra mondiale, e finito nel 1989 con il crollo del comunismo. Un'ipotesi fascinosa, ma che non tiene conto di strascichi simbolici quanto dolorosi.

Cuba era il più clamoroso. Un regime comunista, pienamente comunista, nel cuore dell'America, a 90 miglia di mare dalla Florida, lo Stato dove i benestanti americani sognano di andare in pensione come premio di una vita offerta al capitalismo più orgoglioso. Dal 1959, l'anno in cui Fidel Castro prese il potere, Cuba è stata letteralmente un altro mondo, capace anche di far saltare per aria il mondo intero: la «crisi dei missili» del 1962, con il braccio di ferro fra Kennedy e Crusciov per i missili che l'Urss stava installando sull'isola, ci ha portati sull'orlo di una guerra atomica più di qualsiasi altro episodio della guerra fredda.

E guerra fredda è stata anche dopo, sia pure pacifica: una guerra senza esclusione di colpi fra gli occidentali innamorati del mito di Che Guevara, del «líder máximo», di una rivoluzione che avrebbe riscattato prima l'America Latina poi tutti i «popoli oppressi»; dall'altro lato della barricata, chi denunciava le limitazioni della libertà di un popolo oppresso e le persecuzioni contro gli anticastristi. Gli uni e gli altri, spesso e grottescamente, andavano a godere dell'allegria disperata di quel popolo che viveva in un clima atmosferico tropicale e subiva un clima politico bulgaro, che aveva magnifici ospedali e ottime scuole, ma spesso stentava a comprare un dentifricio. Gli uni e gli altri andavano a fare i ricchi turisti a poco prezzo, molti ad approfittare delle ragazze e dei ragazzi. A sfruttare una rivoluzione mancata e fatalmente destinata alla sconfitta.

«Perché lei non ha appoggiato il movimento del Sessantotto?», chiesi a Castro quando ebbi la ventura di parlare a lungo con lui, quasi trent'anni fa. «Perché noi dovevamo fare la rivoluzione», rispose fra il serio e beffardo, intendendo che quella del Sessantotto non fu una vera rivoluzione. Sbagliava, il Sessantotto ha cambiato il mondo più della rivoluzione cubana, ormai finita.

Ora c'è solo da augurarsi che quel popolo generoso non abbia a soffrirne troppo, che il passaggio sia il meno indolore possibile, che Cuba non diventi, nel passaggio di transizione a un Occidente vigilato, il bordello del mondo. Che insomma, un secolo che oggi finisce per avere davvero cento anni, non lasci l'amaro in bocca di riportare Cuba alle condizioni del 1959, sotto la dittatura sciagurata di Fulgencio Batista.

E comunque non conteremo il XXI secolo dal 2014. Questo secolo è iniziato, tragicamente, l'11 settembre 2001. La mossa di Raul Castro e di Obama, ha chiuso una sovrapposizione di epoche, ha chiuso il passato. Il nostro futuro.

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