Le paghe dei politici? Solo per l'1% sono eque

Cresce l'insofferenza verso i parlamentari: il 53% degli italiani vuole tagliare gli stipendi a 1.500 euro

Le paghe dei politici? Solo per l'1% sono eque

L'erosione della fiducia dei cittadini verso l'establishment e la classe politica tradizionale costituisce un fenomeno che si va diffondendo in numerosi paesi in tutto il mondo. Ne sono prova i risultati elettorali di diverse nazioni. L'elezione di Donald Trump rappresenta, tra le altre cose, anche un severo segnale di distacco di una parte consistente della popolazione dalla leadership consolidata di quel Paese, sia per quel che riguarda il Partito democratico, sia, anche, quello Repubblicano. Ma anche il voto del Regno Unito sulla Brexit, in fondo, costituisce un indicatore del disagio di un segmento relativamente ampio di elettorato nei confronti di una parte del ceto dirigente di quel Paese. Nelle nazioni dove non si è votato di recente, i risultati dei sondaggi (pur nei limiti in cui si può fare affidamento su questi ultimi) mostrano comunque il crescere e il radicarsi dei partiti di protesta e populisti: in Italia, il successo del Movimento 5 Stelle (il cui seguito appare essere rimasto intatto o quasi anche dopo le performance, da molti ritenute discutibili, nell'amministrazione delle grandi città) rivela come la dimensione della protesta sia assai ampia anche nel nostro Paese.

Anche alla luce di questi orientamenti non può sorprendere che una tematica in parte considerabile come «populista» come quella relativa all'entità dello stipendio degli eletti in Parlamento incontri l'interesse della grande maggioranza della popolazione. Un fatto che, se ce n'era bisogno, viene confermato anche dai risultati di un sondaggio condotto negli ultimi giorni (e realizzato dall'Istituto Eumetra Monterosa su di un campione rappresentativo dei cittadini al di sopra dei 17 anni di età), dal quale si rileva come il 99% degli intervistati si pronunci a favore della riduzione del compenso percepito da deputati e senatori. Solo lo 0,9% del campione interpellato dichiara infatti che quella attuale è una retribuzione giusta «dato che il compito che i parlamentari svolgono è molto delicato e vanno incontro a molte spese». Questa eroica minoranza vede una lieve accentuazione relativa tra gli imprenditori e i liberi professionisti, specie se meno giovani. E si rileva anche in qualche misura tra gli elettori del Pd, ma si tratta sempre di un'entità modesta che non supera il 4%.

A fronte della quasi totale unanimità sulla diminuzione del compenso di deputati e senatori, si riscontra nel campione una spaccatura sull'entità ritenuta opportuna per quest'ultimo. Più della metà (53%) degli intervistati si pronuncia per una riduzione molto drastica e consistente: secondo costoro i parlamentari dovrebbero guadagnare sui 1.500 euro al mese.

Questa posizione più estrema è assunta relativamente più spesso dalle persone più anziane, da chi detiene un titolo di studio meno elevato, da quanti sono disoccupati o in cerca di prima disoccupazione. Insomma, da ceti sociali in qualche misura più deboli e che sono stati più violentemente colpiti dalla crisi economica di questi ultimi anni.

Sul piano delle intenzioni di voto, si rileva una prevedibile accentuazione tra i fautori del Movimento 5 Stelle. Ma questa posizione è anche assai diffusa tra chi dichiara di scegliere la Lega Nord o, in parte, Forza Italia, o, ancora, specialmente, tra chi afferma di essere indeciso sul partito da votare e/o di essere tentato dall'astensione.

Ma un'altra parte del campione intervistato, quasi altrettanto ampia e corrispondente a poco meno della metà (45%), assume una posizione intermedia, meno drastica, e propone l'assegnazione a deputati e senatori di una quantità di danaro più elevata, ma comunque inferiore a quella attualmente percepita, indicata attorno ai 5.000 euro mensili. Sono in misura maggiore di questo avviso le persone di età centrale (dai 45 ai 55 anni) e, specialmente, coloro che posseggono un titolo di studio più elevato: tra i laureati, in particolare, questo orientamento raggiunge il 65%. Anche in questo caso, si registra una accentuazione relativa tra chi dichiara l'intenzione di votare per il Pd.

L'insieme di questi risultati indica un diffondersi del «populismo» anche nel nostro Paese? In qualche misura, forse sì. La richiesta di un abbassamento del compenso ricevuto dai parlamentari che abbiamo visto essere unanime tra gli intervistati esprime certo una forte insofferenza e un ampio disagio verso la classe politica nel suo insieme, che viene spesso vista come un «unicum» deprecabile.

Di certo, quanto emerge da questo sondaggio rappresenta un monito che i nostri rappresentanti istituzionali non possono sottovalutare o, peggio, trascurare. Pena la crescita ancora più intensa delle forze che evocano la mera protesta tout court.

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