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Pakistan, la strage dei bimbi è un «messaggio» al Papa

I 72 morti di Lahore sono l'altolà al premier Sharif che vuole fermare la barbarie anti-cristiana e a Bergoglio pronto a far visita al Paese. "Crimine vile e insensato"

Pakistan, la strage dei bimbi è un «messaggio» al Papa

Una carneficina nel giorno della Resurrezione. Una strage di 72 innocenti tra cui oltre 50 sono, non a caso, padri, madri e bimbi appartenenti a quella minuscola e indifesa comunità cristiana che in Pakistan rappresenta il 4% di una popolazione in larga parte musulmana. Un eccidio i cui numeri sono, purtroppo, destinati a crescere ancora perché molti dei 300 feriti ricoverati negli ospedali sono in condizioni disperate. Ma dietro il mattatoio del parco giochi di Gulshan-e-Iqbal a Lahore si nasconde anche un barbaro messaggio di sangue. Un messaggio indirizzato ad un Papa Francesco (che ieri ha parlato di «crimine vile e insensato», invitando «a pregare il Signore per le numerose vittime e per i loro cari») pronto a far visita al Pakistan. Per capire obbiettivi e finalità del kamikaze mescolatosi alle famiglie cristiane riunite davanti alle altalene di quel parco giochi bisogna partire dal fatidico annuncio del 2 marzo scorso. Quel giorno l'arcivescovo di Karachi Joseph Coutts accompagna in Vaticano il responsabile del dicastero per gli Affari Religiosi Sardar Muhammad Yousaf e Kamran Michael, l'unico esponente cristiano del governo di Islamabad. I due ministri devono incontrare Papa Francesco e consegnargli l'invito a far visita al Pakistan affidato loro dal premier Nawaz Sharif. L'invito, reso pubblico al termine dell'incontro assieme alla notizia della disponibilità di Papa Francesco, rappresenta un'autentica rivoluzione. Con quell'invito Sharif fa intendere di esser pronto a mettere un freno alle persecuzioni che colpiscono le comunità cristiane fin dal 1986 quando viene introdotto nel codice penale il famigerato articolo 295c sulla blasfemia. Quell'articolo, soprannominato «legge nera» non solo prevede la pena di morte per chi offende Allah, Maometto o il Corano, ma è anche la scusa per incriminare, imprigionare o abbandonare al linciaggio delle folle fondamentaliste i cristiani e chi cerchi di proteggerli. Grazie a quella legge nel 2010 viene condannata a morte Asia Bibi, una cattolica accusata di aver offeso il Profeta. Nel nome di quella legge un gruppo di terroristi uccide, nel 2009, il ministro cattolico Shahbaz Bhatti. Due anni dopo, una guardia del corpo crivella di colpi il governatore del Punjab Salmaan Taseer colpevole d'aver fatto visita in carcere ad Asia Bibi. La «legge nera» è da oltre 30 anni il mantice e l'attizzatoio con cui i profeti del fanatismo islamista alimentano l'odio per le minoranze cristiane, giustificano gli attacchi alle loro chiese e mantengono un'impunità garantita dall'indifferenza di magistratura e forze dell'ordine. Dietro l'intransigenza della «legge nera» aleggia lo stesso fanatismo che governa gli attacchi suicidi del settembre 2013 alle chiese cristiane di Peshawar, e quelli del marzo 2014 a Lahore costati la vita a centinaia di cristiani. Ma dietro quegli attacchi, come a quello di domenica, si celano anche le protezioni concesse fin dagli anni '80 alle formazioni integraliste e, più recentemente, alle formazioni armate dei talebani arrivate, grazie alle coperture di politici, generali e servizi di sicurezza, a controllare vaste aree del Paese. L'invito a Papa Francesco segnalava il tentativo di un premier, seppur discusso e controverso come Nawaz Sharif, di rompere con il passato ed imporre un nuovo corso. La strage di Pasqua, l'ennesimo colpo ad una minoranza cristiana che conta solo sei milioni di anime su 180 milioni di musulmani è, invece, l'altolà di chi intende continuare ad alimentare quel perverso humus di violenza che ha trasformato il Pakistan nel santuario di Al Qaida, nell'ultimo rifugio di Osama Bin Laden e nella retrovia dei gruppi talebani attivi sui due versanti della frontiera afghana. Ma la ferocia di un massacro messo a segno con il preciso scopo di sterminare donne e bambini cristiani fa anche capire come i veri non si nascondano nei desolati sobborghi del distretto di Muzzafargar da cui proveniva Yusouf Farid, il 28enne kamikaze esecutore della strage. Come nel caso di altri eccidi o assassini eccellenti, quali quello di Benazir Bhutto, i mandanti si celano ancora una volta in quei sottoboschi della politica e dei servizi di sicurezza che negli anni hanno trascinato il Pakistan a un passo dall'abisso.

Mandanti pronti a minacciare non solo il loro premier, ma persino il Vaticano pur di preservare il clima d'intimidazione e fanatismo e alimentare l'intolleranza di quell'Islam fondamentalista che garantisce loro il controllo di settori e aree cruciali del Paese.

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