Palamara accende i riflettori sul Cav perseguitato dai pm

Il magistrato in tv invita ad approfondire il tema dei processi all'ex premier. Ricorrerà contro l'espulsione

Palamara accende i riflettori sul Cav perseguitato dai pm

E adesso si parla dei processi a Berlusconi, dei rapporti tra magistratura e potere politico nell'epoca in cui il Cavaliere affrontò una serie interminabile di guai giudiziari. Arrivato al terzo giorno consecutivo di esternazioni dopo la sua espulsione dall'Associazione nazionale magistrati, Luca Palamara accende un faro su un tema cruciale: lo scontro tra le toghe e il leader di Forza Italia. Lo fa rispondendo a una domanda sui processi al Cav, durante l'intervista a Ommibus su La7, e misurando le parole una ad una: «Che ci siano stati dei problemi nello sviluppo dei processi è un tema che merita assolutamente di essere sviluppato». Ma basta questo per essere certi che la popolarità di Palamara tra i suoi colleghi, già ai minimi storici, non ne uscirà rafforzata.

L'ex presidente dell'Anm individua con chiarezza due passaggi cruciali: «quello che precede i processi, una fase importantissima per la vita democratica del paese, quella di individuare il miglior dirigente possibile». Un riferimento esplicito alle nomine dei procuratori e dei presidenti di tribunale che in questi anni hanno governato l'offensiva giudiziaria. «I magistrati nominati per quei posti sono stati assolutamente di valore», premette: e per sceglierli ci sono state «interlocuzioni con la politica che non hanno influito sulla scelta». A chi si riferisce? Forse a Edmondo Bruti Liberati, il leader di Magistratura democratica che guidò la Procura milanese durante il caso Ruby, e di cui si dice da sempre che fosse arrivato alla carica anche grazie all'appoggio di Giorgio Napolitano. Poi Palamara affronta un secondo tema: «il passo successivo è individuare altri temi di cui si discute molto: i rapporti del pm con la polizia giudiziaria, il rapporto tra pm e giudice, tra pm e giornalista». Sembra quasi di risentire accuse che il centrodestra lancia da sempre, dai tempi di Mani Pulite fino al caso Ruby: sulle forze di polizia usate come braccio armato delle Procure, sulla contiguità tra Procure e tribunali, sulle fughe di notizie usate ad arte. Tutto questo fa parte del tema che secondo Palamara «merita assolutamente di essere sviluppato».

In attesa di vedere se il sasso lanciato da Palamara sul fronte Berlusconi smuoverà qualche acqua, il caso innescato dalla sue dichiarazioni dei giorni scorsi continua ad agitare assai la vita interna della magistratura: perché se è vero che il pm romano non ha chiamato i causa nomi nuovi otre a quelli comparsi nelle sue chat, una serie di messaggi impliciti hanno scatenato l'allarme. E la sua decisione, annunciata ieri, di impugnare il provvedimento di espulsione dall'Anm sembra confermare che la partita non è chiusa: anche perché nel nuovo giudizio Palamara vuole a tutti i costi ottenere la parola, dopo che venerdì scorso gli è stato proibito di intervenire prima della sentenza. «Sono rimasto incastrato in questo sistema - è la sua linea, ribadita ieri - ma non voglio fungere da capro espiatorio. Sono stato inghiottito, io ero animato dei più nobili ideali». Le chat, come è noto, raccontano un'altra storia.

Che l'elenco dei partecipanti e dei beneficiati del «sistema Palamara» sia lungo, non c'è dubbio. E sulla sorte dei magistrati che compaiono nelle intercettazioni, ieri il vicepresidente del Csm David Ermini ha assicurato che non ci sarà insabbiamento: «Abbiamo, a parte la vicenda penale che è in capo alla procura di Perugia, il procuratore generale presso la Corte di Cassazione che ha istituito un gruppo di lavoro per esaminare tutti gli atti e verificare se ci siano illeciti disciplinari su tanti magistrati che compaiono sulle intercettazioni. In più, dentro il Csm, la prima Commissione del Consiglio sta esaminando se ci siano questioni che possano creare situazioni di incompatibilità ambientale o professionale per i vari consiglieri che compaiono nelle chat e nelle intercettazioni per eventualmente disporre anche dei trasferimenti».

Peccato che fino a venti giorni fa, prima che venissero depositati gli atti dell'inchiesta di Perugia, il tema fosse tabù: «Quando un anno fa - racconta il giudice Alfonso Sabella - alla commemorazione di Paolo Borsellino, posi il tema della questione etica dicendo che sarebbe stato inutile nascondersi o fare finta che il contenuto delle chat con il pm Palamara non sarebbe venuto fuori, registrai il gelo totale come se i panni sporchi si dovessero lavare in famiglia».

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