Non si incontrano, ieri pomeriggio, «Riccardo» e «Luca»: i due amiconi che regnavano sulle sorti della magistratura italiana, che si scambiavano chiacchiere, favori, dritte. Luca Palamara, pm a Roma, affronta il giudizio della commissione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura. A spedircelo davanti, con la richiesta di sospensione immediata, è stato il suo amico Riccardo Fuzio, procuratore generale della Cassazione, che forse in questo modo sperava di tenersi fuori dai guai. Ma intanto sono uscite le intercettazioni tra i due, e la posizione di Fuzio si è fatta immediatamente insostenibile. Così ieri il pg evita il faccia a faccia con l'amico, e a sostenere l'accusa manda due sostituti. Un po' per imbarazzo e opportunità, un po' perché Fuzio ha altro da pensare: fronteggiare la tempesta che sta per investirlo.
Nelle stesse ore in cui Palamara si siede davanti alla disciplinare, le notizie su Fuzio si succedono in brusca escalation. Comincia il segretario dell'Anm a invitarlo a un «gesto di responsabilità», ovvero a dimettersi. Poi è la giunta dell'Anm che lo deferisce ai probiviri dell'associazione. Infine la tegola finale, il comunicato del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede che «sta valutando» la posizione di Fuzio. Tradotto, significa che per il procuratore generale della Cassazione è imminente l'azione disciplinare. Non era mai accaduto che finisse sotto impeachment la carica più delicata della giustizia italiana.
A costare la poltrona a Fuzio saranno le chiacchiere confidenziali con Palamara, immortalate dal trojan della Guardia di finanza. Si danno del tu, combinano nomine delicate, e - incredibilmente - Fuzio fornisce all'amico in ansia dettagli sull'inchiesta per corruzione in corso a Perugia. Va bene che fu proprio Palamara due anni fa il regista della nomina di Fuzio, e un po' di gratitudine è doverosa. Ma così si esagera.
Che la coppia sia destinata a crollare lo fa capire anche la linea difensiva che nelle stesse ore Palamara tiene davanti alla commissione disciplinare. I suoi difensori si attaccano a questioni procedurali, lui invece presenta una memoria difensiva che si spiega solo con il terreno che gli frana sotto. Palamara ammette ciò che non può negare, «ho partecipato a cene ed incontri in occasione delle nomine ed anche in occasione della futura ed imminente nomina del procuratore di Roma». Ammette l'amicizia con Fabrizio Centofanti, imprenditore inquisito. Ammette di avere parlato con troppa leggerezza del capo dello Stato, e se ne scusa. Ma quando arriva al nocciolo, e cioè l'azione concreta di spartizione delle poltrone, manda un segnale esplicito e quasi brutale agli altri esponenti di vertice del Csm e dell'Anm: «Ho fatto parte di questo sistema condividendone pregi unitamente alla piena consapevolezza dei difetti, dell'esistenza dei quali però non posso assumermi da solo tutte le responsabilità».
E ancora: «Mi protesto formalmente estraneo a qualsiasi forma di interferenza poiché altrimenti dovrei essere accusato di averlo fatto anche per la nomina dei più importanti uffici giudiziari del nostro Paese».Se cado io, manda a dire Palamara, devono cadere in tanti.
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