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Il paradosso del Paese tra due fuochi: "Mosca fa paura, ma l'allarmismo ci rovina"

L'Ucraina deve guardarsi dalle mire russe e dall'ansia degli alleati. Gridare alla guerra fa il gioco di Putin. E mette in crisi l'economia di Kiev

Il paradosso del Paese tra due fuochi: "Mosca fa paura, ma l'allarmismo ci rovina"

Grazie per l'aiuto, ma il panico no. Com'è difficile il mestiere di Volodymyr Zelensky, presidente di un Paese, l'Ucraina, che da una parte deve guardarsi dalle mire di un vicino (la Russia) che si atteggia a fratello maggiore ma lo sottopone a una minaccia militare quale non si vede da decenni in Europa, e dall'altra deve fare attenzione anche ai comportamenti dei suoi amici e protettori occidentali: i quali, alimentando tra gli ucraini l'ansia per un'imminente invasione, rischiano di fare involontariamente il gioco della Russia.

È un fatto che, negli ultimi giorni, stiamo assistendo a un cambio di comunicazione tra Zelensky e i leader europei e degli Stati Uniti: se nella fase iniziale della crisi, di fronte all'intensificarsi della pressione militare russa ai confini con l'Ucraina, il presidente si era concentrato sulle richieste di aiuto concreto e di solidarietà politica per il suo Paese a rischio d'invasione, più di recente lo abbiamo invece sempre più spesso sentito raccomandare di non esagerare con gli allarmismi. Il panico no, appunto. Perché è giusto e benvenuto che Kiev, Washington e l'Europa facciano fronte comune contro un nemico minaccioso, ma c'è modo e modo.

Va dunque benissimo, ripete Zelensky, che in caso di aggressione russa vi aspettiate che siano gli ucraini a difendere il proprio Paese, senza pretendere di coinvolgervi in un conflitto potenzialmente pericolosissimo: ci accontentiamo del vostro sostegno e delle vostre armi.

Ma fintanto che quel conflitto non esiste nei fatti, non bisogna comportarsi come se fosse un evento ineluttabile, o peggio ancora come se fosse già cominciato. Perché, così facendo, concedete a Vladimir Putin un vantaggio enorme e danneggiate solo noi. Se continuate a ripetere che l'invasione è più che probabile mentre il nostro governo ricorda che è dall'estate scorsa che Putin ammassa truppe ai confini ma non le usa; se ritirate il personale delle vostre ambasciate a Kiev; se esortate con toni sempre più perentori i vostri concittadini a lasciare l'Ucraina finché sono in tempo; se la vostra intelligence diffonde addirittura la presunta data esatta di un'imminente invasione del nostro Paese, ottenete esattamente il risultato che Putin desidera: isolarci dal mondo e porci in grave difficoltà senza far mettere un piede oltre frontiera ai suoi militari. E più ancora, convincere i cittadini ucraini che devono davvero temere il peggio.

Non parliamo poi dei danni che fa all'economia ucraina l'annunciato stop dei voli commerciali nei cieli di Kiev e la minaccia delle assicurazioni di non coprire incidenti in quegli stessi cieli. Così si tratta l'Ucraina da Paese in condizione di perfetta inaffidabilità.

Il panico non ci aiuta, ha dunque detto chiaramente Zelensky a tutti i suoi colleghi occidentali, da Biden a Macron a Johnson, e lo ripeterà al cancelliere tedesco Olaf Scholz, che pure ha fatto precedere la sua visita ufficiale a Kiev attesa per oggi da una dichiarazione assai allarmistica.

Ma se non il panico, una sempre più viva preoccupazione si sta diffondendo in Ucraina, dove fin dai tempi dell'annessione della Crimea e dell'occupazione di due province orientali nel Donbass hanno ben capito che da Putin ci si può aspettare di tutto, e che la presunta mancanza di convenienza nei suoi atti d'aggressione è tale solo nella testa di chi non li subisce. Se ne parla poco, ma dalle regioni orientali dell'Ucraina è in corso un esodo verso quelle occidentali ritenute più sicure (e non manca chi già ora, potendo, attraversa il confine e raggiunge parenti che vivono nell'Ue), mentre nelle città si procede a far scorta di beni di prima necessità nel timore di esser colti di sorpresa da eventi bellici.

Quegli stessi eventi che Zelensky si affanna a definire improbabili, nonostante tutto.

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