Il Parlamento francese e l'incubo ingovernabilità

Il presidente Macron corteggia i comunisti e i neogollisti ma le sue offerte per ora sono respinte

Il Parlamento francese e l'incubo ingovernabilità

Il fantasma dell'ingovernabilità volteggia ormai nell'Assemblea nazionale francese da una settimana, senza che nessuno sia riuscito a scacciarlo. Meno che mai Emmanuel Macron che si ostina a ipotizzare un'alleanza larga, pensando ora ai comunisti come potenziali alleati al pari dei neogollisti. Su queste basi, ha confermato a Matignon la premier Elisabeth Borne, affidando alla tecnocrate negoziati e compromessi, entro venerdì, che a oggi sembrano quasi impossibili.

Le opposizioni, anche quelle che a suo dire avrebbero il pedigree per entrare nella coalizione, hanno infatti rispedito l'offerta al mittente. A tempo di record. E la situazione, già di per sé complicata, si è avvitata attorno alla più recente presa di posizione del capo dello Stato: tra il Consiglio europeo di Bruxelles e il G7 in Germania, Macron ha infatti preso la cornetta e spiegato all'Afp che i suoi piani non prevedono di coinvolgere Marine Le Pen né i suoi 89 eletti, e tantomeno i deputati della France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon (tacciati di «ambiguità sulla laicità»), perché entrambi i partiti sono giudicati «unfit» per governare. Un affronto, vista l'emergenza.

La Francia al voto legislativo è andata più a destra di quanto si pensasse. Eppure Macron vede nei comunisti la soluzione per un governo il più possibile prossimo all'unità, escludendo «formazioni che non si propongono come di governo», cioè il Rassemblement National e l'estrema sinistra «Insoumise». I «paletti» per il nuovo esecutivo, dopo le aperture iniziali a 360° in Assemblée, hanno innescato una bufera. La gauche si è divisa: l'alleanza «Nupes» di Mélenchon (estrema sinistra, socialisti, verdi, radicali e comunisti) si è sfasciata e non farà gruppo unico in aula. Ma neppure appoggerà il presidente.

E l'ex compagno di Le Pen, Louis Aliot, N.2 del partito Rn, ricorda all'europeista Macron: «Il partito comunista non ha forse votato contro la costituzione europea? Non è forse il partito dei 100 milioni di morti?».

Macron, per scrollarsi di dosso l'accusa di flirtare con le estreme, tira dritto. Entro «i primi giorni di luglio», la Francia avrà «un nuovo governo d'azione». A Borne ha già affidato il casting, mettendo alla prova l'arte del compromesso della tecnocrate. E tracciata la tabella di marcia per un esecutivo il più simile possibile a una Große Koalition alla tedesca, o a un accordo all'italiana, ha dato le carte per far giocare Parigi alla conventio ad excludendum.

Francia ingovernabile o soltanto in stand by? Le emergenze sociali ed economiche si accumulano, e con il Covid che Oltralpe torna a far alzare la curva dei contagi «lo status quo non è un'opzione», tuona il presidente del Medef, Geoffroy Roux de Bézieux. Non c'è solo la «Confindustria» francese a gettare sale sulle ferite elettorali di Macron. Gridano all'allarme impasse pure i sindacati, a partire dal primo di Francia, la Cfdt. «Si pongano in una logica di costruzione e non in giochi di parte», dice il segretario Laurent Berger. Per Cyril Chabanier della Cftc «non è possibile che tutto sia bloccato, trovare soluzioni per l'inflazione sempre più alta».

L'unione nazionale è già sfumata, uccisa nella culla da quelli che dovrebbero essere i potenziali nuovi alleati del presidente. I neogollisti. «Non vogliamo fare da stampella al potere», chiarisce il numero 1 dei repubblicani in Assemblée, Olivier Marlaix. Salvo singoli casi, i partiti restano ostili a entrare nella maggioranza (oggi solo relativa).

E la minaccia di Macron, che in alternativa a un «contratto di governo» avrebbe trovato maggioranze «caso per caso», rischia ora di far andare a sbattere il suo secondo mandato contro un muro ancor più solido di quanto non si aspettasse.

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