Il Parlamento sfida Boris: "La Brexit va rinviata"

I deputati votano per una nuova proroga Il primo ministro: "Ma io non la negozierò"

Il Parlamento sfida Boris: "La Brexit va rinviata"

Londra. Prima devi chiedere all'Ue di concederci un altro rinvio e spostare la data della Brexit a fine gennaio 2020, poi metteremo ai voti il tuo nuovo deal. È questo il messaggio che il Parlamento inglese ha consegnato ieri al primo ministro Boris Johnson dopo un lungo dibattito al termine del quale la Camera dei Comuni ha approvato l'emendamento Letwin con 322 voti a favore e 306 contrari. L'emendamento rinvia la votazione sul deal Johnson dopo l'approvazione dei regolamenti attuativi che faranno funzionare il divorzio, obbligando il primo ministro a chiedere un rinvio della Brexit entro le 23 di ieri (la mezzanotte in Italia), secondo quanto previsto dal Benn Act.

Al termine di una giornata che molti credevano decisiva per il futuro del Regno Unito vince il senso di stallo, tutti possono dire di non aver perso, nessuno può dire di aver vinto. L'opposizione ferma un Johnson galvanizzato dai recenti successi europei, ma il redde rationem è rinviato alla prossima settimana: dopo l'approvazione delle leggi attuative, il governo ha fatto sapere che chiederà di nuovo un voto sulla bozza di accordo. E i numeri di ieri non sono male per Johnson: nessun tory ha votato contro e 6 laburisti l'hanno appoggiato.

Il senso di come sarebbe andato il pomeriggio è riassunto in una battuta di un'insolitamente ironica Theresa May, vistosa nella sua giacca bianca in mezzo a decine di colleghi nei loro vestiti d'ordinanza: ho un chiaro senso di déjà vu, commenta tra le risate dei colleghi. Dopo i suoi tre tentativi andati a vuoto, invita l'aula a votare a favore della nuova bozza di accordo, dobbiamo rispettare il referendum del 2016. Johnson guarda dietro di sé verso i banchi dei compagni di partito, la osserva annuendo, pare fiducioso. Intervengono decine di parlamentari, i capigruppi e le seconde file, prima Johnson e poi altri ministri del suo governo rispondono alle domande, sembra un po' la staffetta di Kipchoge per scendere sotto il muro delle 2 ore. Alle 14:30 comincia il voto, i parlamentari escono dall'aula, cresce l'attesa e si rifanno i conteggi per valutare le possibilità di Johnson, i numeri sono tirati, l'esito incerto. Ma anche questa volta il deal non passa, non viene nemmeno discusso in realtà, i Comuni preferiscono prima essere sicuri di scongiurare il rischio no deal. Lo dice chiaramente Letwin prendendo la parola dopo il voto: questa non è una bocciatura ma un'assicurazione per essere sicuri di avere tutto il tempo necessario. Chiamatela backstop, se credete. Al termine del voto, Johnson dichiara: «Non negozierò un rinvio con l'Ue, né la legge mi obbliga a farlo».

Tutte le opposizioni, dal Labour agli scozzesi del Snp ai Lib-Dem, invitano il primo ministro a rispettare la legge e inviare la richiesta a Bruxelles entro la fine della giornata. Le conseguenze legali di un mancato invio non sono chiare, si stanno già scaldando i motori per i ricorsi ai tribunali che potrebbero obbligare il governo o un suo rappresentante a inviare la lettera.

Volge al termine una settimana insolitamente positiva per Johnson, prima l'accordo europeo contro il pronostico dei più, ora una possibile maggioranza a sostegno del suo deal. Difficile pensare voglia sfidare i tribunali. Se non ci sarà rinvio, mancano 11 giorni.

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