Parlare (di tutte le crisi) senza Obama

Al vertice mancano gli americani. E lo "zar" può riaprire il dialogo con gli europei

Parlare (di tutte le crisi) senza Obama

Gli occhi sono tutti puntati su di lui. È arrivato solo ieri sera a Milano, ma già dal mattino nei conciliaboli del vertice euroasiatico e nelle dichiarazioni dei leader il protagonista assoluto è sempre stato Vladimir Putin. La partita è delicatissima e la posta in gioco appare, almeno a parole, la stabilità internazionale. Forse sarà solo pretattica ma, da Hollande alla Merkel, i messaggi che vengono lanciati sembrano tracciare uno scenario da ultima spiaggia, come se il destino del mondo fosse legato al futuro dell'Ucraina e alle prossime mosse del presidente russo.

Che la due giorni milanese, con oltre 50 leader di paesi europei e asiatici, fosse un appuntamento importante lo avevano compreso tutti, tanto che lo stesso Putin ha deciso di essere presente al posto del suo premier. Questo significa che ha la seria intenzione di imboccare, assieme ai leader europei, una strada che possa condurre alla fine della crisi. Dopo i numerosi faccia a faccia, ultimo quello di oggi con il nostro premier Renzi e il presidente ucraino Petro Poroshenko, riusciremo a capire quale sarà il cammino scelto e se verrà esorcizzato lo spettro di una nuova guerra fredda.

Il clima della vigilia non induceva all'ottimismo, gli scambi di accuse e di avvertimenti tra Europa e Russia hanno messo in luce la complessità dei problemi da risolvere. Primo fra tutti un accordo sul futuro assetto dell'Ucraina, che tenga naturalmente conto degli interessi di tutte le parti coinvolte. Poi il nodo sanzioni, che in questa congiuntura economica sta penalizzando soprattutto l'Europa. Ne sanno qualcosa le aziende italiane, le prime a essere colpite dal muro contro muro con Mosca. Questa «guerra fredda» ci è già costata circa 2,5 miliardi, che potrebbero diventare 10 se le posizioni dovessero irrigidirsi. E a farne le spese ci sono imprese di tutti i generi, dal lusso agli alimentari. La Russia non nasconde di aver già trovato i fornitori che ci rimpiazzeranno: Argentina, Egitto, Turchia, Israele ma soprattutto la Cina. Uno scenario catastrofico, anche se gli stessi russi sono prudenti sul fronte cinese: «Implementare la crescita di un competitor come Pechino - racconta una fonte diplomatica -, non è proprio negli interessi del Cremlino».

E che dire del nostro fabbisogno energetico? Le importazioni di gas russo pesano per il 25%, e le percentuali per altri paesi europei sono ancora più preoccupanti. L'eventuale riduzione o chiusura dei rubinetti metterebbe tutti in ginocchio. Diventa perciò inderogabile che dal confronto milanese esca uno straccio d'intesa per superare l'impasse. Soprattutto perché stavolta non ci sono tavoli con gli Stati Uniti, che ieri sono stati accusati da Putin di avere un «atteggiamento ostile» verso la Russia. Come dargli torto, dall'altra sponda dell'Oceano continuano a ripetere che Mosca è una minaccia alla stabilità mondiale, come l'epidemia di Ebola e i jihadisti dell'Isis.

Le soluzioni sul tavolo? Nella delegazione russa c'è chi cita

l'esempio italiano. «Siete il campione della tutela delle minoranze, sia etniche sia linguistiche, come in Trentino Alto Adige. A questo tipo di autonomia bisognerebbe ispirarsi quando parliamo di regioni orientali dell'Ucraina».

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