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Il partigiano che bocciò l'Anpi filorussa

L'ex presidente Smuraglia aveva appoggiato gli aiuti militari a Kiev

Il partigiano che bocciò l'Anpi filorussa

«Un popolo che resiste contro l'invasore va aiutato in tutti i modi possibili. Anche con le armi».

Alla vigilia dei 99 anni, il partigiano Carlo Smuraglia (morto nella notte tra lunedì e martedì) si è ritrovato a dover spiegare alla «sua» Anpi cosa sia la Resistenza, e perché si debba stare dalla parte dell'Ucraina e non da quella di un vacuo «pacifismo» che fa solo il gioco del regime assassino di Putin. Una lezione lucidissima e memorabile, impartita proprio mentre l'organizzazione di cui era ancora presidente onorario si scagliava contro l'appoggio del governo italiano e dell'Occidente a Kiev e alla sua difesa dall'invasione russa: «Di armi, nella nostra Resistenza contro i nazifascisti, avevamo estremo bisogno: ce le fornivano gli Alleati. E ricordo bene che era una festa quando di notte arrivava l'aereo, buttava giù i pacchi col paracadute e dentro c'erano le armi di cui avevamo assoluta necessità». Per questo, spiegava nel marzo scorso, «capisco perché è indispensabile per gli ucraini riceverle, con ogni mezzo: senza, non si può fare la resistenza».

Parole scandite con implacabile nettezza, proprio mentre il presidente Anpi Gianfranco Pagliarulo (che, essendo nato nel 1949, la lotta al nazifascismo la ha fatta nel tinello di casa) schierava l'associazione su una linea di «pacifismo» filo-russo e ingiungeva al governo di fermare gli aiuti alla resistenza ucraina. Una deriva dolorosa per chi, come Smuraglia, aveva guidato l'Anpi fino al 2017 e conosceva sulla propria carne il prezzo pagato da chi «deve resistere contro la violenza e la prepotenza» di un invasore. Ma, grazie al suo monito, il gruppo dirigente Anpi ha poi costretto Pagliarulo ad una goffa marcia indietro e a riconoscere, sia pur obtorto collo, che «quella ucraina è Resistenza».

Nato nel 1923 ad Ancora, Carlo Smuraglia aveva lasciato gli studi per unirsi, appena ventenne, alla Resistenza: volontario nel Gruppo di Combattimento «Cremona», alle dipendenze operative dell'ottava Armata Britannica, ha combattuto sul fronte adriatico fino alla resa dei nazifascisti. Dopo la Liberazione fu avvocato e docente di diritto, senza mai dismettere l'impegno politico. Consigliere regionale del Pci in Lombardia dal 1970 al 1985, poi eletto dal Parlamento come componente laico del Consiglio superiore della magistratura, fino al 1990. Infine senatore Ds per tre legislature, fino al 2001. Nel 2011 diventò presidente nazionale dell'Anpi, confermato nella carica fino al 2017: ultimo, tra i leader dell'Associazione partigiani, ad aver fatto sul serio la guerra di liberazione. «Con lui - ha ricordato ieri il presidente della Repubblica Mattarella - scompare una delle ultime figure del movimento partigiano che concorse alla fondazione della Repubblica e a vivificarne la democrazia».

Una democrazia, ricordava in una delle ultime interviste, cui «bisogna essere affezionati» per saperla difendere.

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