A Mosca brindano, a Kiev trattengono (a fatica) il disgusto. Come sia andata nel dettaglio in Alaska lo capiremo meglio già da domani, quando Zelensky sarà ricevuto alla Casa Bianca: e comunque pare difficile che Trump possa vantare un successo, dal momento che Putin, nonostante le minacce trumpiane, non gli ha concesso nulla.
L'unico elemento certo è dunque quello che in queste ore fa festeggiare in Russia e deprimere in Ucraina: la riabilitazione ufficiale di Vladimir Putin a livello internazionale, graziosamente concessa da Donald Trump in cambio di niente. Un risultato importantissimo per Putin, che da solo sarebbe valso il lungo viaggio da Mosca ad Anchorage. Trump ha regalato al dittatore del Cremlino un vero colpo d'immagine: tappeti rossi in una base militare americana, strette di mano e toni più che amichevoli, addirittura dieci minuti di tour da solo senza testimoni con il presidente a bordo della mitica "Beast", la super auto blindata che è uno dei massimi status symbol della Casa Bianca. Perfino il diritto, contrario al bon ton dei vertici internazionali, di far parlare l'ospite per primo con i giornalisti in conferenza stampa congiunta. Il paria Putin, reso tale nel mondo dai suoi crimini di guerra e dal mandato di cattura emesso dalla Corte internazionale dell'Aia per il sequestro di decine di migliaia di minorenni ucraini, torna dall'Alaska con una nuova verginità gratuita.
È un dolore dover dare ragione a una stampa russa asservita che sta cantando la gloria del "migliore negoziatore del mondo", notando che Putin non solo nulla ha concesso a Trump ma si è ben guardato dal fermare l'offensiva nel Donbass. E che ora può permettersi di invitare il presidente americano a Mosca e di minacciare ucraini ed europei se si permetteranno di intralciare la via per la pace iniqua tracciata in Alaska.
La triste verità è che il "miglior negoziatore del mondo" - quello che ha applicato il metodo Gromyko di esigere l'impossibile e minacciare - ha incontrato il negoziatore peggiore: un narcisista senza una linea coerente che duri più di due giorni, forte coi deboli e debole con i forti, interessato solo a potere e denaro e lontanissimo dal sentirsi erede e parte di un comune sistema di valori occidentali.
È questa l'amara lezione di Anchorage, qualunque siano gli sviluppi (tipicamente imprevedibili) dei prossimi giorni: Putin vince là dove un Trump inadeguato al suo ruolo concede. E le concessioni sono state pesanti: a parte la ricordata riabilitazione, aprire la porta a concessioni territoriali a senso unico senza pretendere in cambio garanzie di sicurezza per l'Ucraina, anzi addirittura precisando che lui, Donald Trump, non avrebbe "negoziato per conto di Zelensky", al quale ha perentoriamente "consigliato" di accettare un accordo capestro.
Del resto stiamo parlando dello stesso presidente americano che pochi giorni fa si è rivolto al dittatore bielorusso Lukashenko, responsabile con l'aiuto fattivo di Putin della brutale repressione dei sostenitori dei valori occidentali, chiamandolo "highly respected".
E non si sa se sia peggio che Trump non capisca che così facendo incoraggia Putin a cercare di installare anche a Kiev un suo proconsole liberticida o che invece lo capisca benissimo e se ne infischi. In ogni caso Putin può gioire che il cielo gli abbia inviato un Donald Trump: è la sua vera benedizione.