«Qui ci salta anche Alitalia!». Nei corridoi di palazzo ieri serpeggiava lo sgomento, dopo le nuove dichiarazioni di Lufthansa, decisa a stare fuori dall'affare. Un governo che deve misurarsi con due fronti incandescenti come Ilva e Alitalia rischia di essere travolto rovinosamente, perché la disoccupazione generata avrebbe la potenza di una bomba sociale, con costi difficilmente immaginabili.
Il pessimismo ieri seguiva le notizie provenienti da Francoforte, dove l'amministratore delegato, Carsten Spohr, ha ribadito le condizioni che ha sempre espresso negli ultimi mesi e anni: prima di prendere in considerazione un intervento in Alitalia, quest'ultima dev'essere ristrutturata e lo Stato deve uscirne completamente. L'idea dei tedeschi, finora impraticabile, è di dimezzare la forza lavoro, riducendo i dipendenti di circa 5mila unità; e di far diventare la proprietà totalmente privata, senza la presenza pubblica, che oggi è rappresentata in cordata dal ministero dell'Economia e dalle Ferrovie dello Stato. La scadenza del 21 novembre per la presentazione di offerte vincolanti da Lufthansa non viene nemmeno presa in considerazione, e tutti si aspettano che ancora una volta sarà vanificata: la cordata FS, Mef, Atlantia, Delta sembra ancora in alto mare.
Lufthansa in questo momento ha i suoi grattacapi: quello più immediato è lo sciopero di due giorni che si conclude oggi e che ha visto la cancellazione di 1.300 voli: i dipendenti chiedono migliori condizioni salariali e organizzative. Un altro fastidio viene dai conti: niente di grave, ma il terzo trimestre si è chiuso con un utile operativo in lieve calo, passando da 1,4 miliardi di euro dello scorso anno, a 1,3. Sullo sfondo i maggiori costi per il carburante, 171 milioni. Spohr ha comunque dichiarato che «come gruppo aereo leader in Europa, siamo su una rotta strategica, solida e stabile». Un elemento poi da non sottovalutare è di carattere negoziale: se Lufthansa dovesse decidere di entrare in Alitalia lo farebbe all'ultimo momento utile, aspettando la fine dell'agonia. Solo così potrebbe piegare la volontà italiana ai propri intendimenti: una compagnia più piccola, più snella, più facile da gestire, da risanare, e, in prospettiva, da sviluppare. Il beneficio è legato anche all'ingresso nell'alleanza Star Alliance, alternativa all'atuale SkyTeam: Alitalia potrebbe integrarsi favorevolmente in un gruppo che, più dei franco-americani, potrebbe valorizzarne il lungo raggio.
Ma una domanda è fondamentale: può realmente fallire Alitalia, che tante volte negli anni è stata salvata a qualunque costo? Andrea Giuricin, professore all'Università di Milano Bicocca, vede negli occhi del ministro Patuanelli «più pragmatismo di quanto facesse trapelare Di Maio». Le strade estreme, dice, sono due: «La creazione di una newco senza acquirenti, in pratica nazionalizzando la compagnia. Oppure politicamente più difficile si tratta di andare allo spezzatino, vendendo singolarmente i vari asset, a cominciare dagli aerei». Sarebbe la fine dell'Alitalia che abbiamo sempre conosciuto, anche se il marchio, che fa parte del patrimonio e che conserva il proprio valore, resterebbe in circolazione.
Molti ricordano l'onta toccata a Swissair, un gioiello dei cieli, che una notte fu costretta a lasciare a terra i propri aerei perché i soldi per il carburante erano finiti. Resuscitò. E chi le diede nuova vita? Lufthansa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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