Roma Complice il Ferragosto e l'avvio delle Feste dell'Unità, tra Pd e Anpi (l'Associazione dei Partigiani italiani, anche se ormai di partigiani ne raccoglie ben pochi) è di nuovo guerra. Con l'associazione che minaccia di disertare le Feste dell'Unità perché si sente «censurata».
La rottura, in realtà, si è consumata da tempo: memorabile la polemica con Maria Elena Boschi, nello scorso maggio, quando il ministro osò ricordare che - nonostante il direttivo Anpi avesse schierato l'associazione sul No - molti «partigiani veri, di quelli che hanno combattuto nella Resistenza, sono per il Sì». Per poi ricordare che quella parte della sinistra che vota No «si ritrova sulle stesse posizioni di Casa Pound», che è appunto anch'essa ferocemente contraria alla riforma della Costituzione. Ora Pd e Anpi tornano a scontrarsi.
«A queste condizioni non c'è spazio per la nostra partecipazione alla festa del Pd di Bologna», annuncia solenne Anna Cocchi, presidente dell'Anpi del capoluogo emiliano. Casus belli del gran rifiuto, l'originale pretesa dell'Anpi di poter usare le feste del Pd per fare propaganda contro il Pd: l'associazione era stata infatti invitata, dal Pd bolognese, a partecipare alla kermesse estiva e anche ai suoi dibattiti. Ma il partito ha respinto la richiesta dell'Anpi di poter usare il proprio stand alla Festa per fare propaganda per il No al referendum costituzionale sulla riforma Boschi: volevano mettere manifesti, distribuire volantini, raccogliere firme per convincere i partecipanti che eliminare l'anomalo bicameralismo perfetto italico equivale più o meno a restaurare la dittatura fascista.
Come prevedibile, il Pd bolognese ha detto no alla richiesta: liberi di venire alla Festa, di aprire lo stand e anche di spiegare le vostre ragioni contrarie nei dibattiti, ma la propaganda anti-Pd alla festa del Pd no, grazie. «Strana pretesa - dice un esponente democrat emiliano - è come se il Pd chiedesse di aprire uno stand per raccogliere adesioni pro-referendum al congresso dell'Anpi, e poi si scandalizzasse se quelli gli dicono di andare a farlo altrove».
La signora Cocchi però si scandalizza eccome: «Ci hanno invitato alla Festa dell'Unità, ma dicono che non possiamo fare campagna per il No al referendum. Non possiamo distribuire volantini né materiali. Ma se ci sono veti contro di noi non possiamo partecipare».
Classe 1949, la Cocchi - come la stragrande maggioranza dei soci Anpi di oggi - la Resistenza l'ha letta solo sui libri, e in montagna ci va a passeggiare. Ma è fedele alla linea dell'Associazione: la Costituzione è nata dalla Resistenza, e dunque deve restare in eterno uguale a se stessa. Cambiarla è sacrilegio, e chi prova a farlo - sia pur per via costituzionale e democratica - è un nemico del popolo. La linea dura dell'Anpi (dei cui 124mila iscritti solo 5000 ormai sono veri partigiani) è stata decisa dal direttivo nazionale, e sulla base di quella pronuncia gli iscritti all'Anpi sono stati diffidati dal prendere posizioni diverse. Tanto che il presidente nazionale Anpi, Carlo Smuraglia, ha vietato ai soci di schierarsi per il sì: «L'iscritto deve attenersi alle decisioni della maggioranza». Certo «ogni iscritto è libero di votare come vuole», ha concesso magnanimamente. «Ma non di fare atti contrari alle deliberazioni del comitato nazionale, come organizzare comitati per il Sì».
Questo per spegnere i «piccoli focolai ribelli» che, dentro l'Anpi, si sono detti a favore della riforma. Così, suona un po' paradossale che oggi la signora Cocchi accusi invece il Pd: «Non possiamo dirci totalmente democratici se non siamo capaci di aprirci anche alle ragioni di chi non la pensa come noi», afferma.
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