Pd senza maggioranza dal 2013 ma se ne accorge solo adesso

Non solo cittadinanza: sulle tasse per i cellulari, i giochi d'azzardo e le adozioni gay sono mancati i numeri

Pd senza maggioranza dal 2013 ma se ne accorge solo adesso

La maggioranza non c'è. Non c'era prima e non c'è oggi. È così da quattro anni ma il Pd se ne rende conto soltanto adesso. Non c'era con Letta e con Renzi e continua a non esserci con Gentiloni. Che la sinistra non abbia la maggioranza in Parlamento non è una novità e non serviva certo lo ius soli per dimostrarlo. Il capogruppo dem Luigi Zanda semina l'ennesima banalità: «Le leggi per essere approvate hanno bisogno di una maggioranza, in questo momento la maggioranza non c'è perché anche i gruppi che lo hanno votato alla Camera non mostrano di volerlo votare al Senato». Vietato scomodare i signori senatori. L'ultima volta che al Senato si sono trovati d'accordo è per far decadere Silvio Berlusconi, il 27 novembre 2013, quando 192 senatori votarono per la cessazione del mandato parlamentare del Cavaliere.

Le elezioni del 24 e 25 febbraio 2013 hanno prodotto un mostro ingovernabile che non riesce a legiferare. Il centrosinistra è davanti per un soffio alla Camera (29,54%), il centrodestra ha il 29,13% e trionfa il Movimento 5 Stelle col 25,55%. Al Senato non c'è maggioranza: il 31,60% del centrosinistra corrisponde a 120 seggi, solo tre in più del centrodestra al 30,66%. Ci sono poi 54 seggi del M5s (23,78%) e 18 seggi per la lista Monti (9,13%). La maggioranza assoluta di 158 seggi è ben lontana e ciò ha prodotto svariate anomalie nel corso degli anni. Le uniche leggi importanti che il Pd riesce a far passare sono quelle sulle materie eticamente sensibili, come la legge Cirinnà sulle unioni civili del maggio 2016 mutilata dalla stepchild adoption e la legge contro la tortura del luglio scorso, che però ha finito per non accontentare alcuno. Per il resto si è arenato su tutto.

La lista delle «non leggi» è lunghissima. Ragioni di posizionamento politico, lotte di potere, ambizioni personali, sono rari i momenti di scelte condivise, fino allo scontro totale che ha preceduto la sconfitta dell'ex premier e della maggioranza con il fallito referendum costituzionale del 4 dicembre 2016. Il governo Letta (dal 28 aprile 2013 al 22 febbraio 2014 ) viene battuto la prima volta al Senato il 6 agosto 2013 (con 143 sì, 118 no e 10 astenuti) su un emendamento della Lega sull'abolizione della tassazione dei cellulari, la seconda volta il 7 agosto sulla giustizia e ancora il 5 settembre sui giochi d'azzardo. L'unica legge che Letta riesce a far passare in 300 giorni è quella, indispensabile, sulla filiazione.

Poi, dopo «Enrico stai sereno», arriva Renzi che va detto, tra questi tre esecutivi è quello che detiene il record per leggi varate (Jobs Act, responsabilità civile dei magistrati, green economy, omicidio stradale, caporalato, traffico di organi, divorzio breve, riforma Rai), ma anche per decreti legge promossi. Gli va a buca la legge sull'Italicum bocciata dalla Corte costituzionale (il proporzionale è una iattura per il Pd e l'Italia rischia di scivolare nuovamente nel pantano di governi deboli e coalizioni litigiose), la riforma della scuola si rivela una buccia di banana, quella sulla pubblica amministrazione viene bocciata dalla Consulta e quella costituzionale dagli italiani, il masterplan sul Mezzogiorno è solo teoria, il piano immigrazione un disastro, la pressione fiscale non cala e la lotta alla povertà non va oltre ai bonus. Renzi non riesce neppure a risolvere il nodo banche popolari, con 140mila risparmiatori azzerati dal suo decreto Salva banche del 22 novembre 2015. Rimborsi sospesi, inchieste mai partite, responsabili mai puniti. Solo ieri, dopo inaccettabili ritardi e quasi due anni buttati, grazie all'intervento di Forza Italia, si è composta la commissione parlamentare d'inchiesta destinata a lavorare solo pochi mesi.

Poi c'è Gentiloni, campione di conversione in legge di decreti, infilzato dai franchi tiratori, che a parte lo ius soli, ha ammazzato anche la legge elettorale (l'8 giugno il tabellone per un attimo mostra chi del cosiddetto

«patto a 4» ha tradito) e il 5 aprile non riesce a far passare nemmeno il candidato scelto dal Pd a presiedere la commissione Affari costituzionali. Per lui un unico successo: il cyberbullismo.

Che Dio benedica i decreti legge.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica