Non sanno più che pesci prendere e per celare un'evidente incertezza, cercano di guadagnare tempo. Il segretario del Pd, Enrico Letta, propone alla segreteria del partito, per il 13 gennaio, una riunione congiunta dei gruppi parlamentari e della direzione Pd per costruire un percorso condiviso verso il voto sul Quirinale. Come dire «sarete coinvolti da protagonisti» e per non far scattare il solito toto nomi. Anche perché nel Pd nessuno, al momento, si sente di scommettere su nessuno.
Intanto ieri una riunione c'è già stata tra Letta, il leader del M5s, Giuseppe Conte e quello di Articolo Uno, Roberto Speranza, per parlare di Covid ma anche di Colle concentrandosi sul metodo e non sui nomi, assicurano. L'obiettivo resta quello di un presidente eletto con la più ampia convergenza possibile - anche coinvolgendo l'opposizione - e che abbia le caratteristiche di terzietà che si addicono al ruolo: no ad un presidente divisivo.
Non hanno però ancora un'idea, un nome, ma soprattutto non hanno i numeri per far eleggere il capo dello Stato. Per cui decidono, per ora, di non decidere e di rimandare tutto a metà gennaio, nella speranza che qualcosa si muova. Ma i tempi corrono: il 4 gennaio il presidente della Camera, Roberto Fico, farà partire la lettera alle Regioni per la scelta dei delegati, indicando la data della prima votazione del Parlamento in seduta comune. Dal 10 gennaio potrebbero essere convocati i capigruppo e, nel mentre, le Regioni dovranno indicare la terna di nomi. Quindi, dal 18 o dal 19 gennaio fino al 24, ogni giorno è buono per iniziare i lavori.
Il centrodestra è l'unico ad avere la maggioranza relativa ma Letta avverte, «mai un capo di partito al Colle», riferendosi a Silvio Berlusconi. E così, in assenza di candidati a loro vicini, il Pd preferisce rinviare le scelte e spostare l'attenzione su terza dose e green pass.
E Letta gioca a fare l'amichetto anche di Giorgia Meloni che ieri ha rivisto alla presentazione di un libro dopo Atreju. «Ormai siamo i Sandra e Raimondo della politica italiana», scherza la Meloni. Matteo Renzi si intromette: «Come Sandra e Raimondo? Loro però facevano più ridere. Meloni vuole un patriota? Allora perché non ha votato Mattarella l'altra volta?».
Dalla fronda Pd non lettiana del Senato arrivano interessanti retroscena. «È una partita strana, gira un'aria molto strana - commenta un decano dei voti sul Quirinale -. Tutti pensano a Draghi, l'unico che potrebbe mettere tutti d'accordo, ma la realtà è che per Draghi è sempre più difficile lasciare Palazzo Chigi». Senza un piano B per Palazzo Chigi, ragionano fonti dem a Palazzo Madama, sarà difficile trovare la quadra su Draghi.
E avanza sempre più un nome molto gradito alla Lega e che alla fine potrebbe anche dare qualcosa in cambio al Pd, Maria Elisabetta Alberti Casellati. La promozione da seconda a prima carica dello Stato, infatti, consentirebbe ai democratici di ereditare per il tempo che resta, lo scranno del Senato, per Luigi Zanda.
Al Colle non è mai andato chi giocava in prima fila, ma sempre scelte di comodo del momento.
E la scelta di comodo stavolta potrebbe essere una persona affidabile per Salvini ed una gradita concessione per il Pd. L'unica cosa certa per ora è che fino al 10 gennaio non accadrà nulla. Intanto quelli che parlano fanno finta di contare e chi conta davvero, invece, tace.
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