Il Pd si frantuma sulla giustizia. Nel partito ora è guerra civile

Il no alle manette per Azzollini fa litigare l'ala fedele alle toghe e quella garantista. E dopo l'allarme Svimez si apre anche il fronte Sud: il 7 agosto direzione dedicata

Il Pd si frantuma sulla giustizia. Nel partito ora è guerra civile

Roma - C'è una faglia tutta nuova che si sta aprendo nel Pd, e il caso Azzollini ne è diventato il banco di prova ufficiale. È la faglia tra il blocco giustizialista abituato a obbedire senza se e senza ma alla magistratura militante e ad avallare sempre e comunque l'azione delle procure; e il finora timido blocco garantista, che vive con crescente insofferenza l'invadenza del potere giudiziario nella sfera politica. Il voto contro l'arresto di Azzollini e la netta presa di posizione del premier a sostegno della scelta del Senato (che non deve diventare «il passacarte delle Procure») sono stati una sorta di catalizzatore, che ha prodotto una reazione liberatoria. Così ieri ben dodici senatori del Pd (nomi noti che vanno da Pietro Ichino alla pasionaria anti-camorra Rosaria Capacchione, dal segretario del gruppo Francesco Russo a Alessandro Maran) hanno preso carta e penna e hanno buttato giù una durissima replica agli attacchi del collega di gruppo Felice Casson, ex pm e mancato sindaco di Venezia. Il quale, in un'intervista (ovviamente a Repubblica ), aveva accusato di ogni nefandezza i sostenitori del no all'arresto. «Abbiamo pensato a lungo se replicargli - dicono i dodici - Ci ha convinto, oltre alla gratuita e offensiva sgradevolezza nei confronti di professionalità e moralità dei colleghi senatori Pd, la lettura fuorviante e caricaturale del rapporto politica-magistratura che ne emerge e che non appartiene certamente alla cultura del Pd». La scelta anti-arresto, spiegano, era perfettamente «legittima», visto che le carte non fugavano il sospetto di fumus persecutionis . Se mai era il «sì» alle manette a rappresentare «la scelta facile e strumentale di assecondare un populismo giustizialista che sembra di moda nel Paese». Parole molto nette, che segnano una forte presa di distanza da una sinistra sempre schiacciata, in questi anni, sulla linea dettata da Anm e Procure. Del resto è anche il vicepresidente del Csm (ed ex parlamentare Pd) Legnini a difendere le prerogative del Parlamento, dimenticate invece dai loro presidenti, Pietro Grasso in testa, e auspica che le parole di Renzi spingano i pm a «motivare in modo solido» le richieste di arresto.

Rispondendo ai lettori nella rubrica delle lettere all' Unità , Renzi non torna sul caso Azzollini. Rilancia invece sui tagli alle tasse sulla casa «giusti e anche equi»; lancia la sfida ai sindacati «in crisi» afflitti da «troppa burocrazia: girano più tessere che idee», proponendo «una buona legge sulla rappresentanza»; definisce la abolizione del bicameralismo «la madre di tutte le riforme: se la portiamo a casa avremo svoltato». E bacchetta le correnti del Pd, inclusa la sua: in troppi, dice «si occupano solo di cordate, anche tra chi ha votato per me».

E intanto, in risposta agli struggenti appelli di Roberto Saviano sul Sud «che muore» e alle pressanti richieste dei parlamentari meridionali del Pd, il premier-segretario convoca una direzione straordinaria del partito per il 7 agosto, «a carattere monotematico» tutto dedicata alla questione Mezzogiorno, dopo il rapporto catastrofista dello Svimez. «Ma le parole non bastano - chiosa acido dalla minoranza Pd Roberto Speranza - serve una sterzata del governo».

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