RomaSul dossier pensioni Palazzo Chigi e il ministero del Tesoro non sembrano parlare la stessa lingua. Ieri il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, in un'intervista a Repubblica ha precisato che «è fondamentale non deragliare da un principio fondamentale: vanno legate le prestazioni pensionistiche alla durata del tempo di lavoro e alla aspettativa di vita». In estrema sintesi, il titolare del dicastero di Via XX Settembre ha chiuso la porta a ogni possibilità di flessibilizzazione dell'uscita dal lavoro. Con buona pace di uomini e donne che dal 2016 potranno andare in pensione - se non avranno raggiunto 41 anni e mezzo di contributi - rispettivamente a 66 anni e 7 mesi e 65 anni e 7 mesi.
Padoan, tuttavia, non è stato categorico in quanto ha precisato che «non c'è nulla di male a esaminare possibili correttivi che riguardano individui che si trovano vicini alla pensione, ma con una prospettiva occupazionale difficile». Il riferimento è, soprattutto, al capitolo esodati, cioè coloro che hanno rinunciato al proprio posto in attesa della pensione e sono rimasti con il cerino in mano a causa della riforma Fornero. Nessun accenno, invece, alla cosiddetta «opzione donna», cioè la possibilità - in scadenza il 31 dicembre prossimo - per le lavoratrici con 57 anni di età e 35 di contributi di accedere a un assegno previdenziale calcolato interamente con il sistema contributivo (con una perdita tra il 20 e il 30%) in cambio dell'uscita anticipata. Il principio guida del ministro è che «l'equilibrio di finanza pubblica deve essere mantenuto».
Tali affermazioni, però, confliggono con quanto scritto sabato scorso dal premier Matteo Renzi sull' Unità . «Ho chiesto a Padoan e Poletti di individuare un meccanismo per consentire più flessibilità in uscita. Spero che riusciremo a trovare un primo rimedio già con la Stabilità», aveva vergato. E non è un caso che, dopo l'intervista, fonti del ministero abbiano sentito il dovere di precisare che «non c'è alcuna contrapposizione» tra Renzi e Padoan e che il governo «è coeso e impegnato a trovare soluzioni compatibili con i vincoli di finanza pubblica».
Da notare, inoltre, come il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi, abbia evidenziato come sia per il sostegno ai redditi bassi (si pensa a un assegno di 400 euro, costo complessivo 1,5 miliardi) «sia per le pensioni, bisogna tener conto dei conti pubblici, come ha ribadito il ministro Padoan». Insomma, i rapporti tra il premier e il ministro sono peggiorati, altrimenti non vi sarebbe stato bisogno di pubblicizzare un'unità di intenti che, evidentemente, latita.
La materia del contendere è spinosissima. La flessibilità dei pensionamenti sarebbe un altro toccasana per l'immagine di Renzi. Da un lato, farebbe felici molti italiani che non vogliono aspettare di avere 67 anni o anche più per ritirarsi. Dall'altro, cementerebbe la traballante maggioranza di Renzi in cui tanto la sinistra Pd quanto Ncd spingono per un intervento. Ci sono due proposte in Parlamento: quella dell'ex ministro Damiano e del sottosegretario Baretta che prevede una penalizzazione del 2% per ogni anno di anticipo dai 62 anni con un taglio massimo dell'8% e un'altra che invece individua «quota 100» come somma tra età e anni di contribuzione. Costano rispettivamente 8,5 e 10 miliardi l'anno.
I soldi, al momento, non ci sono e Padoan lo ricorda visto che Bruxelles ha sempre il fucile spianato. L'alternativa è rafforzare ulteriormente, come previsto dal Def, i poteri dell'Agenzia delle entrate per aumentare il gettito. Ma questo produrrebbe un malcontento che Renzi vuole evitare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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