Li hanno già chiamato i «Woody Papers». Un corpus di opere che costituiscono l'autobiografia indiretta di Woody Allen e che disegnano il regista, attore e scrittore newyorkese emblema e idolo della intellighenzia di sinistra - oggi ottantaduenne - come un uomo da sempre ossessionato dalle donne giovani, molto giovani, troppo giovani.
Nulla che non si sapesse. Allen ha costruito quasi tutti i suoi film - dai capolavori come Manhattan, Io e Annie e Match Point fino a quelli francamente inutili come Basta che Funzioni e To Rome with Love - secondo uno schema classico: quello della ninfetta di solito poco più che maggiorenne che arriva a stravolgere la vita di un uomo bruttino, nevrotico e depresso. Le sue muse sono state tante: da Mia Farrow a Diane Keaton, da Mariel Hemingway a Penelope Cruz, da Scarlett Johansson a Emma Stone. Tutte inevitabilmente più giovani di lui, da molto a enormemente. E anche la sua vita sentimentale è sempre stata una caccia alla Lolita: lasciò Mia Farrow - una con una fisicità fragile e quasi preraffaellita da ragazzina - dopo una relazione più che decennale per mettersi con la di lei figlia adottiva Soon-Yi, una coreana allora diciannovenne affetta da un disordine di apprendimento.
Il giornalista del Washington Post Richard Morgan ha trascorso parecchio tempo a frugare nel contenuto di 56 scatoloni di materiale inedito (bozze, sceneggiature, appunti e storie brevi) che il regista la sezione libri rari della Firestone Library dell'Università di Princeton custodisce dal 1980. «Secondo lo staff di Princeton - scrive Morgan non senza orgoglio - sono la prima persona a leggere questo materiale». Roba che scotta, anche se l'arte non è sindacabile, neppure quando - come sempre in Allen - si confonde con la propria vita. Il quadro che ne è esce è decisamente alleniano: un uomo misogino, ossessionato dalle donne, soprattutto dalle minorenni, che fa di tutto per legare a sé. Le giovani disturbatrici di sogni sbucano ovunque negli appunti dell'Allen segreto (ma nemmeno tanto). Nello script di «Rainy Day» spunta una studentessa di college «che non dovrebbe avere 20 o 21 anni, suona più come 18 - o addirittura 17 - ma forse 18 è meglio». C'è la diciassettenne di «Considera Kaplan», di cui si innamora un vicino 53 anni che condivide un viaggio nel silenzioso ascensore del loro condominio di Park Avenue. In un testo Woody Allen immagina di scritturare per un film la socialite spagnola Nati Abascal: «Ho tirato fuori un contratto dalla mia tasca ed entrambi abbiamo firmato, ma non prima di aver parlato dell'obbligo sessuale che riguarda ogni attrice che ha lavorato con me». Parole che imbarazzano e che quasi costringono a giustificarsi le attrici che lavorano per Allen. Selena Gomez, che ha lavorato in A Rainy Day in New York, che uscirà nel corso del 2018, confessa di aver riflettuto a lungo prima di accettare la parte e di essersela cavata con un equilibrismo mentale: «Wow, l'universo funziona in modo interessante». Kate Winslet, brava in modo commovente nel bellissimo La Ruota delle Meraviglie ancora nelle sale, ha fatto la finta tonta: «Ho messo da parte ogni pensiero e ho lavorato solo con la persona».
Ma Allen è questo, prendere o lasciare. Nel suo libro «Effetti collaterali», che è del 1980 ma fa ancora ridere come se fosse stato scritto ieri, c'è un raccontino, La mia Apologia, che attacca così: «Tra tutti gli uomini famosi che siano mai vissuti, quello che mi sarebbe piaciuto essere è Socrate. Non solo perché era un grande pensatore, giacché anche io sono conosciuto per avere avuto alcune idee ragionevolmente profonde, sebbene invariabilmente riguardanti due cameriere di un cocktail bar di diciotto anni e alcune manette di corda». Poi le due cameriere diventarono un'hostess dall'età indefinita.
Ma la cosa fa ridere e questo quasi ci spinge a perdonare le ossessioni alleniane. Ehi, abbiamo detto quasi. Del resto, come scrisse un altro grande ebreo, Walter Benjamin, «alla base di ogni grande capolavoro c'è un mucchio di barbarie». Appunto.
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