Petrolio verso un balzo da 5 dollari. Ma spaventa il Golfo Persico chiuso

Tabarelli: "Col blocco di Hormuz prezzo a 200 dollari"

Petrolio verso un balzo da 5 dollari. Ma spaventa il Golfo Persico chiuso
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Si profila un lunedì di tensione sui mercati. L'attacco degli Stati Uniti ai tre principali siti nucleari dell'Iran alimenta la preoccupazione di una escalation in Medio Oriente mettendo sotto pressione in primo luogo il petrolio. Gli analisti di Saxo Bank si aspettano per oggi una fiammata al rialzo nell'ordine dei 4-5 dollari al barile in attesa di capire cosa farà Teheran. Dal 13 giugno, con il primo attacco di Israele all'Iran, il prezzo del barile è già balzato dell'11% dimostrandosi il vero termometro della crisi in quanto dal Medio Oriente dipende un terzo della produzione petrolifera globale. Gli operatori di mercato già guardano oltre alla reazione a caldo di oggi e sono convinti che a dettare la direzione a petrolio e Borse sarà la strategia che l'Iran metterà in atto in termini di ritorsioni all'attacco statunitense. Ciò che fa più paura è la possibilità che Teheran decida di chiudere lo Stretto di Hormuz, il collo di bottiglia marittimo all'imboccatura del Golfo Persico da dove passano circa 20 milioni di barili di petrolio ogni giorno, pari a circa un quinto del consumo mondiale; una tale mossa innescherebbe uno choc prolungato che a detta di Jp Morgan si tradurrebbe in prezzi del greggio in grado di catapultarsi tra i 120 e i 130 dollari al barile. "Se chiudesse lo stretto di Hormuz il petrolio schizzerebbe a 200 dollari", è la previsione di Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, che ricorda come si tratti di un'ipotesi improbabile. "Su Hormuz è dagli anni '70 che arrivano minacce ma non è mai successo niente".

La chiusura dello stretto, infatti, è ritenuta da molti una extrema ratio difficile da mette in atto e portare avanti a lungo anche alla luce della presenza in Bahrain della flotta americana. "Ma il precedente della guerra Iran-Iraq degli anni '80 ci insegna che si possono produrre molti danni di breve periodo", rimarca Donatella Principe, direttore della strategia di mercato di Fidelity International. Un forte deterrente è rappresentato dal fattore Cina: l'80% del petrolio che transita da Hormuz è infatti destinato all'Asia e Pechino da sola si accaparra il 90% delle esportazioni di petrolio iraniano.

Più incerta la direzione che prenderanno le Borse, che fino ad oggi hanno badato poco al conflitto Israele-Iran con l'azionario globale sceso solo dell'1,5% dal 13 giugno. Gli operatori si aspettano però che l'aggravarsi della crisi peserà nel breve sull'azionario e gli asset rischiosi in generale. Un termometro della possibile reazione è il tonfo del bitcoin (che scambia anche durante il weekend) scivolato sotto quota 100 mila dollari. Di contro sono attesi prevalere gli acquisti sui tradizionali asset rifugio quali oro e titoli di Stato.

Un segnale controcorrente è arrivato dalla Borsa di Israele che ieri è salita dell'1,8% ai nuovi massimi storici (oltre +20% da inizio anno) con gli operatori della regione a scommettere che l'intervento degli Usa possa accelerare la fine del conflitto.

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