
Per i suoi nemici è un grave colpo all'immagine costruita negli anni e alla sua retorica sui valori comuni. Tra cui quello della trasparenza. Per chi le sta vicino invece, il cosiddetto Pfizergarte, e la decisione della Corte europea di bocciare la Commissione per non aver fornito ai giornalisti del New York Times i messaggi tra la presidente e il Ceo della casa farmaceutica, Albert Borula, è poco più di un buffetto per la solidità della sua leadership. La verità potrebbe stare nel mezzo. La pronuncia dei giudici del Lussemburgo ha certamente infastidito von der Leyen, che sperava che il caso fosse chiuso. Quei messaggi non sono rilevanti e non ci sono, aveva fatto dire ai cronisti nel Nyt. Che però si sono impuntati e hanno vinto. La bacchettata è sonora, per una leader impegnata nelle battaglie per la libertà di stampa e per «la casa di vetro» europea. È del resto poco credibile la giustificazione che quei messaggi non siano rilevanti, essendo stati alla base della firma del contratto più imponente mai firmato dall'Ue. In realtà nei palazzi di Bruxelles sono ormai noti i metodi di von der Leyen, tesi ad accentramento e segretezza. La Commissione valuta di fare ricorso, mentre i giornalisti del quotidiano americano possono fare una nuova richiesta di accesso a quei messaggi. Sembra scontato un nuovo diniego, ma la Commissione sarebbe obbligata a motivarlo in modo dettagliato, a spiegare dove ha cercato quei messaggi, perché non li ha trovati, e perché non siano stati considerati rilevanti. E soprattutto dovrebbe dire se siano stati cancellati ed eventualmente perché. Interpellata dalla Corte, aveva detto di aver dato «per scontato che il telefono cellulare del suo presidente fosse stato sostituito». Una vicenda già bollata come «cattiva amministrazione» dalla mediatrice dell'Ue, Emily O'Reilly, l'organismo che vigila sul buon andamento delle istituzioni europee. Difficile immaginare che leggeremo mai quei messaggi. Una possibilità, del tutto astratta al momento, è che possano venire alla luce nell'ambito dell'indagine della Procura europea sull'acquisto anche di quella partita di vaccini.
Nel luglio scorso, la Corte Ue aveva dato un altro colpo alla presidente, dando ragione ai Verdi, che avevano denunciato come i contratti con le aziende farmaceutiche fossero stati sì pubblicati, ma pieni di omissis. Di nuovo mancanza di trasparenza. La Commissione però aveva fatto ricorso, tuttora pendente.
Questa volta lo scossone è più fastidioso. Piovono interrogazioni in Aula. Gli oppositori, dalla sinistra di The Left, al M5s, ai sovranisti dei Patrioti, con la Lega in testa, attaccano una gestione «opaca e antidemocratica». I sostenitori ritengono invece che la vicenda non scalfisca il mandato della leader, saldamente alla guida dell'Esecutivo, e forte della tela di supporto degli Stati membri costruita in questi anni.
Anche se non è a rischio il suo mandato, è un fatto che subito dopo la decisione di ieri, il direttore del servizio legale Ue è stato trasferito a Madrid: circostanza che non è passata inosservata. Forse l'indizio più eloquente su come l'abbia presa la presidente.
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