Si sono sempre detestati e i loro incontri sono sempre stati tempestosi. Ma in quello in programma per oggi Barack Obama e Benjamin Netanyahu dovranno, in qualche modo, cercare di comporre le loro divergenze e concludere una forma di tregua, perché con la situazione in Medio Oriente che si sta sempre più complicando, gli Stati Uniti devono ritrovare un rapporto più collaborativo con il loro principale, e unico affidabile, alleato nella regione. Sarà una pace conclusa, per così dire, a denti stretti, ma pace dovrà essere, e infatti da entrambe le parti i segnali indicano che le cose si stanno appianando.
Netanyahu ha condotto una campagna senza esclusione di colpi contro l'accordo concluso dagli Usa e dai cosiddetti 5+1 con l'Iran, che se (ed è un se grosso come una casa) sarà rispettato in tutti i suoi particolari dovrebbe impedire agli ayatollah di costituirsi un arsenale nucleare per i prossimi 15 anni. Per bloccarlo, il premier israeliano non ha esitato ad andare ad arringare (su invito repubblicano e senza neppure preavvertire Obama) il Congresso degli Stati Uniti, ha lanciato accuse neppure troppo velate di tradimento contro l'alleato e ha perfino rotto i rapporti con numerosi membri democratici del Senato, in precedenza sempre favorevoli a Israele, per il loro sostegno agli accordi di Vienna.
Ma, con «l'intifada dei coltelli» che non gli dà tregua – anche ieri, dopo un paio di giorni di pausa, ci sono stati un attacco da parte di una donna palestinese a un soldato e un deliberato investimento di un'auto di coloni da parte di un militante, con quattro feriti gravi – si è reso conto che non gli conveniva continuare una guerra perduta, ma piuttosto cercare di ottenere un indennizzo per la sconfìtta. Perciò oggi chiederà ad Obama di compensare l'aumento dei rischi per la sicurezza di Israele derivante dal patto con Teheran con un sostanzioso aumento degli aiuti militari, sostenuto sia dai democratici, sia dai repubblicani. E difficilmente il presidente potrà dirgli di no.
Gli esperti ritengono che si tratterà soprattutto di una partita dell'ultima generazione di missili antimissili, che riuscirono già preziosi a Israele durante l'ultima guerra di Gaza quando Hamas tentò, per la prima volta, di colpire Tel Aviv. Ma Netanyahu non si limiterà a cercare una tregua con Obama: tenterà anche di riannodare i rapporti con quei parlamentari del partito democratico che, pure essendo stati sempre sostenitori di Israele, in occasione dell'accordo con l'Iran gli hanno voltato le spalle. Alcuni sono addirittura ebrei, e per il loro «tradimento» sono entrati in conflitto con l'Aipac, la potentissima lobby proisraeliana che fino a quel momento era sempre riuscita, nei momenti cruciali, a orientare le decisioni della Casa Bianca. Per questo, oltre che all'ultraconservatore American Enterprise Institute, dove sono tutti suoi tifosi, Netanyahu ha accettato di parlare anche al Centro del Progresso americano, molti dei cui membri hanno invece votato a favore degli accordi nucleari con l'Iran.
L'intenzione, insomma, è di risanare le ferite che lo scontro ha lasciato. Se l'operazione riuscirà al cento per cento, è tutto da vedere, ma le circostanze la favoriscano.
Obama, che contro la sua stessa volontà originaria è costretto a infognarsi sempre più nel conflitto con l'ISIS, di tutto ha bisogno meno che di un'Israele «sulle sue»; e, avendo, tutto sommato vinto (almeno per ora) la battaglia dell'accoirdo con Teheran, ha tutto l'interesse a tirare una riga sul passato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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