Coronavirus

Così il governo sabotò le regioni. La verità sul piano Covid-19

Il Piano pronto a febbraio. Ma non arrivò mai alle regioni, nemmeno in Lombardia dove il Covid stava iniziando a mietere morti. Ecco tutta la verità

Così il governo sabotò le regioni. La verità sul piano Covid-19

La nebbia inizia a diradarsi. E si affaccia un po’ di chiarezza sul piano anti Covid realizzato dagli esperti per conto del governo. All’interno erano previsti scenari e indicazioni di reazione in caso l’epidemia colpisse l’Italia, ma non è stato condiviso con le regioni. Neppure con la Lombardia. “Un piano di emergenza sanitaria sicuramente non lo abbiamo ricevuto”, dice Vittorio Demicheli, membro della task force lombarda. La rivelazione, che ilGiornale.it può anticipare in esclusiva, è contenuta nel “Libro nero del Coronavirus. Retroscena e segreti della pandemia che ha sconvolto l’Italia”, edito da Historica Edizioni e in uscita a inizio ottobre.

Breve riassunto. Di questo fantomatico piano si parla ormai da aprile. Lo rivelò il dg Andrea Urbani, membro del Cts, assicurando che il governo vi si era attenuto per affrontare l’emergenza. Disse però che conteneva scenari troppo gravi per mostrarli a tutti e che dunque venne tenuto segreto. Poi Repubblica ne pubblicò alcuni stralci, il governatore Fontana chiese lumi e il ministero, convocato dal Copasir, iniziò a derubricarlo a “studio di previsione” sui “possibili scenari dell’epidemia”. Niente di più. Posizione ribadita pochi giorni fa, quando Speranza lo ha definito uno “studio in itinere” con “valutazioni ipotetiche, aleatorie”. Eppure il “Piano”, così si chiama, esiste. È stato realizzato da Iss, ministero della Salute, ospedale Spallanzani e infine validato dal Cts. Contiene sì scenari e livelli di rischio, ma anche fasi operative e indicazioni pratiche. Ieri ne è stato finalmente pubblicato il testo.

Resta il mistero per cui, ai cronisti che avevano fatto un accesso agli atti, il ministero della Salute non lo abbia fornito e la Protezione Civile abbia invece inviato lo studio realizzato da Stefano Merler della Fondazione Kessler. I due testi infatti sembrano diversi. Forse uno ispira l’altro. Di certo, come emerge dai verbali del Cts, il 2 marzo il “Piano” viene approvato nella “versione finale” e presentato al governo. Su queste certezze ne è nata una bagarre politica. Salvini è andato all’attacco, accusando Conte di non aver condiviso “ufficialmente le informazioni nemmeno con i presidenti di Regione”. Speranza gli ha risposto per le rime, affermando che “lo studio a me è stato presentato dal delegato delle Regioni. La persona che me l’ha presentato è stato un esponente della Lombardia”. Come a dire: poteva essere lui a dirlo a Fontana.

Libro nero coronavirus

La persona cui fa riferimento il ministro si chiama Alberto Zoli, 65anni, direttore generale dell’Areu lombarda e soprattutto delegato di tutte le regioni al Cts (non solo la Lombardia). In realtà non ha colpe. Dopo aver letto il lavoro di Merler, il Cts forma un gruppo di studio col compito di stilare il “piano operativo” entro una settimana. Il 19 si tiene una riunione. Nasce la prima bozza. E, stando a quanto riporta il Corriere, il 20 febbraio Zolli viene scelto insieme a Merler per presentare il dossier al ministro. “Io sono semplicemente stato uno degli speaker”, si sarebbe sfogato Zoli con i suoi. La versione definitiva la riceve il 1° marzo “in busta chiusa” e con il vincolo di riservatezza cui sono costretti tutti i membri del Cts. Quindi se ne sta zitto nonostante abbia un ruolo pure nella task force del Pirellone. “Mai mi sarei sognato di violare il segreto per riferire al governatore Fontana”, avrebbe affermato. “Il documento non l’ho mai nominato né consegnato. Ma i presenti alle riunioni lombarde sanno che ho messo il mio sapere a disposizione di tutti. La gravità della situazione e dei numeri non l’ho mai nascosta”. Il giorno dopo, il 2 marzo, il “Piano” viene approvato nella sua “versione finale” dal Cts che decide di presentarlo, via Angelo Borrelli, al ministro Speranza. Il governo assicura di non averlo secretato, e che la riservatezza fu decisa dal Cts, eppure non lo condivide con le regioni.

reparto terapia intensiva covid

“Quello di cui avevamo consapevolezza erano scenari, non ‘piani’ - dice Demicheli nel libro, intervistato a fine aprile - Un ‘piano’ intende una successione di cose da fare sulla base di ipotesi di comportamento del virus”. Quello che il Pirellone riceve, invece, sono solo “scenari previsionali costruiti dall’Iss e da Stefano Merler” (il matematico non collabora solo con il Cts, ma anche con l’Unità di crisi lombarda): “Sono cose arrivate dopo il 20 febbraio - afferma - e man mano che mandavamo i dati a Merler, lui li adattava alla nostra situazione facendo vedere che se non si interveniva in fretta le dimensioni (del contagio, ndr) sarebbero diventate impressionanti”. “L’unica cosa che ricordo - insiste - è che questi scenari ipotizzavano diffusioni ampie ma con velocità decisamente inferiori". Il virus lombardo, infatti, ha avuto "una velocità di diffusione sueriore a quella che ha avuto in Cina", ma "i modellisti nelle loro previsioni infilavano i parametri di riproducibilità e di intervallo seriale di Wuhan". Quindi non si sono rivelati precisi. "Questi scenari spaventavano per i numeri, e ahimè si sono rivelati veri, ma tranquillizzano dal punto di vista dei tempi. Perché sembrava ci sarebbe stato un po’ più di tempo, che i focolai crescessero più lentamente.

Poi è diventato chiaro che non era così: ogni 3 giorni raddoppiava il numero dei malati, quindi quella velocità lì non era realistica”.

Scenari a parte, comunque Demicheli è certo: “Io di piani non ne ho visti”. Ad aprile l’epidemiologo dubitava addirittura che ne esistesse uno. "Si fanno i piani pandemici dell’influenza perché è più o meno si sa cosa fanno quei virus", con Sars-CoV-2 invece è diverso. Eppure il governo un “Piano”, per quanto ipotetico, lo aveva. E conteneva alcune indicazioni su come reagire ad un eventuale contagio: fare scorta di mascherine, aumentare le terapie intensive, incrementare i posti letto in ospedale. Se non divulgarlo al pubblico per ragion di Stato può pure avere una logica, perché però non condividerlo con i governatori?

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