Piattaforme, agende e strategie. È la politica della supercazzola

Nei discorsi abbondano formule complicate che non significano nulla ma fanno scena. Dal "meccanismo di speranza" al "piano straordinario" alla "mobilitazione cognitiva"

Piattaforme, agende e strategie. È la politica della supercazzola

Non dire niente, ma dirlo benissimo. Un'arte sopraffina in cui eccelle la politica. Ma se la prima repubblica parlava il politichese oscuro (le «convergenze parallele ») la classe politica cresciuta nei talk show, per sembrare profonda senza esserlo, si appoggia ad una nuova tecnica: la supercazzola. Costruzioni complesse per pensieri semplici, spesso nulli, metafore raffinate che si squagliano davanti alla semplice domanda: ma che vuoi dire? Ci sono maestri venerabili, professionisti riconosciuti, apprendisti promettenti. Alle primarie del centrosinistra, rinomata palestra in questa disciplina, Nichi Vendola - un'autorità nella supercazzola politica - ha stracciato tutti con robe tipo «il lavoro come un mero epifenomeno del caos, come escrescenza del ciclo produttivo muto», oppure «capovolgere l'onnipotenza feroce dell'ordine costituito nella potenza mite della democrazia». Ma i contendenti sono molti e tutti agguerriti. Che dire di Fabrizio Barca, già ministro, che ha provato la scalata al Pd puntando su «mobilitazione cognitiva» e «connessione sentimentale»? Nessuno l'ha capito, e la scalata è finita in cantina. Non che gli altri siano più chiari. Bersani ha cercato a lungo le «misure organizzative che facciano esprimere meglio le forze del territorio» e pure «un'agenda che chiarisca il nostro sistema di idee che è alle fondamenta della nostra identità», ma non le ha trovate. In compenso è arrivato Matteo Renzi, eccellente nelle supercazzole e non solo ora. Già da sindaco esibiva in perifrasi tipo: «La fame di bellezza come cifra della scommessa politica su un diverso modo di partecipare, su un diverso modo di stare assieme come comunità». Bello ma che vuol dire? Più contorto ancora Pippo Civati, che nella sua mozione congressuale spiega (si fa per dire) che «la classe dirigente del Pd vive un'esistenza postuma fatta di tattica e compromessi», mentre lui voleva un partito «che viva all'aria aperta, senza filiere, senza fondazioni elettorali, senza opacità». Escluse le opacità di Civati. Ma non da meno anche Cuperlo( «Nutrire il pianeta con l'indicazione di buone pratiche, di un'economia che parta dalla persona e dai diritti umani globali»).

C'è anche la supercazzola presidenziale, quella di Pietro Grasso, con la sua ricetta per uscire dalla crisi: «Reagire pensando strategicamente, programmare interventi meditati, pacati e seri, funzionali ad obiettivi precisi». Basta fare così e siamo a posto. Della Boldrini, presidente della Camera, supercazzole in versione solidale: «Il Mediterraneo deve diventare un ponte verso altri luoghi, altre culture, altre religioni». Paragonabili al «meccanismo della speranza» che va acceso (non si sa bene come) secondo l'europarlamentare Pina Picierno, o il «rapporto col garantismo da recuperare) secondo il presidente Pd Matteo Orfini (rapporto completo?).

Anche il neocentrismo alimenta l'ispirazione. Per Mario Mauro «l'obiettivo è ricomporre il grande corpo popolare della società attraverso una piattaforma programmatica che assembli posizioni comuni», mentre per Gaetano Quagliariello, coordinatore Ncd, serve «una strategia nazionale di tutti i moderati». In alternativa per Ncd va bene anche «un tavolo programmatico ove necessario anche in chiave di discontinuità con il passato». Che poi sarebbe? Chiarisce Renato Schifani, alla costituente Ncd: «Noi siamo classe dirigente, abbiamo fatto una scelta che si deve connaturare con le nostre iniziative, con le nostre scelte, con la nostra coerenza. Guai a lasciarci prendere dalla quotidianità, guai alle dialettiche interne che per fortuna non ci sono». Meno male.

Corrado Passera, nel passaggio dalle banche alla politica, ha appreso subito i rudimenti della tecnica: «L'Italia ha bisogno di fiducia e speranza, che si costruiscono solo col coraggio della verità»; «il sogno è il progetto di ciò che vogliamo diventare» scrive nel suo libro-manifesto politico. Che il morbo si contagi in fretta lo dimostra anche Vito Crimi, del M5S, cresciuto a pane e antipolitica, ma poi inciampato in supercazzole come: «L'euro? Non si tratta di uscirne o meno, ma di capire la velocità degli Stati e in base a quella attuare politiche monetarie differenti».

D'altronde l'anagrafica non conta. I giovani possono superare gli anziani, come la giovane ministra Marianna Madia e l'avverbio a piacere: «Io penso ad una sana mobilità obbligatoria, laddove il rispetto è quello del diritto del lavoratore, laddove non ci siano degli ostacoli burocratici». Ma l'esperienza viene fuori. I sindacalisti hanno un mestiere nel campo del parlare senza dire. Sentite Angeletti, segretario Uil: «Una sempre più forte costruzione europea deve fondarsi su elementi di contenuto che costituiscano elemento unificante. Un deciso impegno per la trasformazione della produzione con criteri sostenibili e contemporaneamente misure sociali».

Colpo di tacco finale delle associazioni dei consumatori con il mai consumato (dalle troppe

apparizioni tv) Rosario Trefiletti e la sua «ricetta»: «Mettere attorno ad un tavolo le persone responsabili, gli imprenditori e fare un piano straordinario di investimenti per dare lavoro ai giovani». Una summa di supercazzole.

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