Puff. Faticando, sbuffano, polemizzando un po' con il governo precedente. Ma alla fine, annuncia Raffaele Fitto, «il traguardo è raggiunto, tutti e 55 gli obbiettivi previsti dal Pnrr per il secondo semestre 2022 sono stati centrati». E dunque si respira, l'Italia ha fatto i compiti assegnagli da Bruxelles, i soldi non sfumeranno. Missione compiuta. Gran parte del lavoro lo ha svolto la squadra di Mario Draghi, che ha preparato le riforme richieste in cambio dei fondi, però, puntualizzano dal ministero per gli Affari europei, «alla data dell'insediamento i dossier conclusi erano 25». Gli altri trenta sono stati completati grazie «all'impulso della nuova cabina di regia: in poco più di sessanta giorni sono stati adottati due decreti legislativi, 12 decreti ministeriali e tre interventi normativi nella legge di bilancio». Decisivo il pressing sui vari dicasteri per superare lentezze e ritardi sui singoli obbiettivi del piano.
Ma non è questo il momento di lamentarsi o di cercare risse. Il risultato non era affatto scontato e porta una ventata di ottimismo sui rapporti con i partner europei e sulla tenuta dei conti pubblici. «Il successo - dice ancora Fitto - è il frutto di un importante lavoro di squadra, governo, Regioni, enti locali, impostato pure sulla base di un dialogo costruttivo a livello politico con la Commissione che ci ha consentito di superare alcune criticità». A gennaio il ministro presenterà in Parlamento la relazione dettagliata sul Pnrr. Dal fisco ai servizi idrici, dalla scuola all'Inos e Insil, dal digitale all'agricoltura, ecco i capitoli dell'intervento.
Siamo ancora a galla quindi. Tuttavia ora comincia la parte forse più difficile della navigazione, l'attuazione dei progetti per la prossima tranche dei finanziamenti. La terza tranche prevede una rata di sedici miliardi che si sbloccheranno dopo il raggiungimento di 27 obbiettivi entro il trenta giugno 2023.
Ci sarà da sudare. Si prevede un confronto serrato con la Ue per ridefinire le misure e i tempi. Già in occasione della sua prima visita a Bruxelles Giorgia Meloni aveva fatto presente che gli effetti della guerra e della crisi energetica hanno cambiato i costi e i parametri, visto che il Pnrr era stato redatto prima del conflitto. Secondo Roma perciò i problemi legati all'aumento delle materie prime e del gas non possono essere ignorati e quindi anche il piano di rinascita va adeguato alle diverse condizioni generali. E su questi argomenti la premier aveva registrato una sostanziale disponibilità della Commissione.
L'altro punto dolente e la capacità italica di spendere gli aiuti. Qui c'è meno ottimismo: nel 2022 abbiamo utilizzato meno della metà dei quaranta miliardi programmati. È un problema di struttura, di burocrazia, di pantano nazionale e a Bruxelles l'ipotesi di allungare i tempi per l'uso delle risorse e considerato «improponibile».
Quindi proprio la necessità di accelerare le procedure potrebbe convincere Palazzo Chigi a un nuovo decreto per rivedere la governance del Pnrr. Se ne parla da settimane, ma al momento siamo ancora alla fase di studio. Perché il dl sia pronto toccherà aspettare almeno la seconda metà di gennaio.
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