Cronache

Poeta, rubacuori e innamorato delle idee. Addio Amicone, combattente della libertà

È stato tra i fondatori di Cl e "Tempi". Fatale un infarto, aveva 65 anni

Poeta, rubacuori e innamorato delle idee. Addio Amicone, combattente della libertà

Lo si è detto fin dall'antichità: spesso la vita allontana tra loro le persone, spesso la morte le riavvicina. In un solo giorno due persone importanti per la mia vita se ne sono andate, una a causa di un infarto, l'altra per un incidente in moto. Si chiamavano Luigi Amicone e Raffaele «Lele» Tiscar. Erano due personaggi pubblici, impegnati nel giornalismo e nella politica, e avevano tutti e due sessantacinque anni come me.

Quello che ho conosciuto meglio era Luigi Amicone. Eravamo compagni di università, tutti e due ciellini, lui iscritto a Scienze Politiche, io a Filosofia. Lui era un vero leader, e in quegli anni tristi (1975-1980) la sua personalità debordante segnò la vita di tanti compagni, me compreso. Lo chiamavamo Luigino, non perché fosse piccolo ma perché aveva gli occhi, la faccia e i modi di chi, diventando grande, riesce a mantenere la poesia dell'adolescenza.

Io gli volevo bene. In un clima dominato dall'ideologia e dalla violenza, Luigi mi insegnò a non avere paura, a mettere in gioco con coraggio e ironia la mia piccola fede e i miei ideali, a non rinchiuderli in discorsi e analisi da circolo culturale, a sfidare il mondo.

Luigino era bello, simpatico, sapeva cantare bene e le ragazze si innamoravano di lui. Scriveva belle poesie. Insieme conoscemmo Giovanni Testori, nel 1978, e ne fummo segnati per sempre. Testori ci fece scrivere un libro ciascuno. Fare, fare: questo era il suo modo di farci crescere.

Uscito dall'università, Luigi andò a lavorare al settimanale Il Sabato, che è stato fucina di tanti grandi giornalisti, e al quale collaboravo anch'io come critico letterario.

Avevamo meno di venticinque anni: e a questo pensiero non posso non pensare alla fortuna che abbiamo avuto, lui, io e tanti altri, ad incontrare sulla nostra strada uomini come Don Giussani e come Testori, che ci hanno insegnato a scommettere su ciò in cui credevamo e a rischiare per questo.

Poi le nostre vite hanno preso direzioni diverse, ma credo di avere ereditato da lui alcune cose, che ho sempre conservato, come la testardaggine con cui ho imparato a mantenere intatti, nell'età adulta, i sogni di quando ero ragazzo. Diciamo che Luigi mi ha insegnato a non mettere mai la testa a posto.

In seguito, dopo la fine de Il Sabato, Luigi ha fondato il settimanale Tempi, che ha diretto fino alla pensione, dopo di che si è messo in politica. Su tante cose non eravamo d'accordo, specialmente in politica, ed è probabile che anche le nostre idee su Cl non fossero le stesse. Non è sempre facile capire perché, a un certo punto della vita, le opinioni comincino a divergere, perché le parole non dette, i temi non affrontati d'un tratto emergano e scavino una distanza tra due persone.

Con Luigi, però, le cose sono andate diversamente rispetto ad altri. Ci siamo allontanati, è vero, ma mai del tutto. Abbiamo continuato a incontrarci, a scriverci. Spesso le divergenze portano alla rottura dei rapporti, fino a cancellare la stima di un tempo. Con Luigino non è andata così. Ci è capitato di pensare male l'uno dell'altro, e non una volta sola, eppure alla fine la stima ha sempre vinto.

E il merito è stato soprattutto suo, della sua capacità affettiva. Quello che ci univa è sempre stato più forte di quello che ci divideva: perché a dividerci erano le opinioni, i discorsi, i parti della nostra testa, mentre a unirci è stato un dono immeritato, una specie di marchio a fuoco, quello che fa gridare a Rimbaud «sono prigioniero del mio Battesimo», ma che non è una prigione, è piuttosto una libertà inimmaginabile, sfacciata, che resiste a tutti gli errori e a tutti gli equivoci.

Ciao, Luigino caro, a presto.

Ti prometto che cercherò di essere un uomo migliore.

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