L'accesso più democratico a medicina

La riforma concerne l'accesso e si guarda bene dall'abolire il numero programmato degli iscritti

L'accesso più democratico a medicina
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Lo slogan piuttosto banale utilizzato da alcuni politici e organi di stampa riguardo alla riforma degli accessi alla Facoltà di Medicina e Chirurgia "abolizione del numero chiuso a Medicina" ha creato una situazione davvero bizzarra.

Questi infondati timori rischiano di travolgere una legge che, nonostante alcuni problemi organizzativi (legati agli alti flussi degli studenti attesi), contiene invece molti spunti positivi, a cominciare da un'effettiva "democratizzazione" del processo di ammissione al corso di Medicina.

La riforma concerne l'accesso e si guarda bene dall'abolire il numero programmato degli iscritti: la cosa sarebbe semplicemente impossibile per una serie di validi motivi legati da un lato al livello qualitativo minimo necessario a formare un medico (come è richiesto anche dall'Unione Europea) e dall'altro dal rischio di ritrovarsi in pochi anni con un numero esorbitante di medici.

Parlare di democratizzazione del processo potrà sembrare enfatico, ma non è così. Per lo studente sostenere una prova d'esame che abbia per oggetto le nozioni acquisite in un semestre formativo erogato con le stesse caratteristiche in tutto il paese è assai meno aleatorio dei test attuali, sempre diversi nella forma, nei contenuti e anche nelle tempistiche. Perché negli ultimi anni le cervellotiche domande dei test di ammissione sono state oggetto delle giuste lamentele degli studenti. Possiamo davvero far finta di nulla quando sappiamo per certo dei costi esorbitanti dei corsi preparatori erogati da agenzie che garantivano mirabolanti risultati ben di rado conseguiti?

Se d'ora in poi la preparazione all'esame sarà impartita dall'università, uguale per tutti e senza ulteriori oneri, come non vedere che si tratta di un passo avanti, che pone tutti gli studenti nella medesima posizione di partenza?

Nell'accusare la riforma s'è addirittura affermato che il modello a cui ci s'è ispirati, quello francese, avrebbe dato pessima prova di sé e che la sua abolizione sarebbe imminente.

Niente di più falso: in Francia hanno solo introdotto qualche correzione, ma quel metodo è solidamente in piedi da anni, continuando a garantire l'accesso a Medicina a circa un quarto degli aspiranti. In Francia si prevede non uno, ma ben due semestri formativi al termine dei quali, e superati i relativi esami, vi è una prova.

Chi non la supera non può continuare gli studi in Medicina, ma deve optare per materie affini (esattamente come previsto da noi). Si potrà dire che accanto a chimica e biologia in Francia si studia anche embriologia e anatomia, materie tipiche di Medicina. È anche vero, però, che la soluzione francese comporta tempi più lunghi, di sicuro non graditi a chi si vedrà poi negata la possibilità di diventare medico.

Non è peraltro detto che qualche aggiustamento non sia possibile già a partire dal prossimo anno, proprio per dare una migliore struttura formativa al semestre. Se poi, come già ha fatto il ministro Bernini, saranno allocate risorse aggiuntive (più fondi e più possibilità di iscrizione: si parla di circa trentamila posti in futuro), allora varrebbe forse la pena di aspettare prima di affossare la riforma e ritornare a quei test di ammissione su tutto e su nulla che, magicamente, sembrano ora rappresentare una sorta d'età dell'oro (a dispetto della massa ingente di ricorsi che ogni anno accompagnava l'uscita delle graduatorie, con il corredo di farraginosità che appesantiva la partenza dei corsi).

In fondo la riforma mira a uno scopo ben preciso, quello di, senza creare illusioni, consentire a tutti gli studenti che lo desiderano di fare il loro ingresso nella cittadella degli studi medici per misurarsi ad armi

pari con i coetanei, garantendo loro qualche uscita di sicurezza nelle materie affini o, se questo non corrisponde alle loro aspettative, la possibilità di seguire un'altra strada senza aver perso un intero anno accademico.

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