Cronaca nera

Il poliziotto indagato per tortura nega. E punta il dito contro un altro collega

Pellegrini ha accusato un altro agente: "Era lui vicino a Hasib"

Il poliziotto indagato per tortura nega. E punta il dito contro un altro collega

«Botte al sordomuto? Vicino a lui c'era Ferrari, non io». Un interrogatorio di garanzia che diventa uno scaricabarile fra i poliziotti accusati di falso e di tortura.

Mentre Hasib Omerovic, 37 anni, è in terapia intensiva dalla fine di luglio, il principale accusato, l'assistente capo in forza al commissariato Primavalle, Andrea Pellegrini, nega tutto. «Torture? Se lo avessi voluto legare non avrei usato il filo elettrico ma le manette». Stesso tenore, davanti al gip Ezio Damizia, per l'altro agente arrivato assieme a Pellegrini con l'auto civetta, la Primavalle 12, in via Girolamo Aleandro 24. «L'intervento si è svolto in piena legalità» afferma Alessandro Sicuranza, accusato di falso per l'annotazione di servizio sottoscritta dopo il blitz in casa Omerovic. Anche Sicuranza è stato ascoltato dal gip e ha spiegato che nel corso della perquisizione sono state osservate «le norme a cautela dei soggetti da identificare».

«Sono estraneo ai fatti - dice -. Non ci sono stati coltelli branditi o polsi legati tantomeno sono state commesse torture». A mentire, secondo i due, sarebbe il collega Fabrizio Ferrari, il quarto agente intervenuto per quella che doveva essere una «perquisizione» ma che si trasforma in incubo per i due disabili. Con Hasib, infatti, c'era la sorella Sonita, 30 anni, affetta da ritardo cognitivo grave. Eppure le foto di Hasib seduto a torso nudo e con i polsi legati con il cavo del ventilatore, trovate sul telefono di Pellegrini, sono chiare. Nonostante ciò Pellegrini nega di essere stato lui a picchiare e terrorizzare Hasib costringendolo a cercare scampo lanciandosi dalla finestra. Finestra che non si affaccia sulla strada, ma su un dislivello di due piani e mezzo, sul cortile interno. Non spiegano neppure dove sia finito il coltello da cucina brandito da Pellegrini, secondo Ferrari e Sonita, mai repertato e ricomparso, a detta di Ferrari, sulla scrivania di Pellegrini prima di sparire definitivamente.

Non dicono nulla sulla porta della camera da letto sfondata a calci, tanto che la serratura viene trovata dal padre di Hasib, Mehmedalija Omerovic, divelta e nascosta dietro a un secchio. A mentire, per Pellegrini e Sicuranza, è lui, Ferrari, il collega «pentito» costretto a sottoscrivere il rapporto «non corrispondente al vero, considerando che Pellegrini era il suo capo e aveva certi atteggiamenti». Dopo aver provato «vergogna» per non essere intervenuto in difesa di Hasib, Ferrari riferisce alcune cose, come la porta sfondata e gli schiaffi, a dei colleghi, pur firmando la relazione. Poi si convince a collaborare raccontando la sua ricostruzione dei fatti. Elementi che spingono la Procura a emettere un'ordinanza di custodia cautelare per il poliziotto già sottoposto a procedimenti disciplinari (allontanato dalla sezione antirapina della squadra mobile per aver rivelato un'indagine e arrestato negli Stati Uniti per furto in un supermarket). Pellegrini insiste: «Quando Hasib è caduto, il più vicino alla finestra era Ferrari».

Per Sicuranza e la collega Maria Rosa Natale, accusati di falso, la Procura ha sollecitato una misura interdittiva mentre Pellegrini, sospeso dal servizio, rimane agli arresti domiciliari.

Commenti