
Grazie a una serie sterminata di ondate migratorie quasi mai governate il mondo è andato avanti, comunque. "E oggi dura in perfetta e spettacolare assenza di un ombelico antropologico", scrive l'analista di geopolitica Dario Fabbri nel suo ultimo volume Il destino dei Popoli (176 pgg, Gribaudo editore).
L'immigrazione rischia davvero di "scristianizzare" l'Europa?
"Le religioni non sono state create dai profeti o dai teologi, ma si sono modificate e adattate con il peso demografico. Che ha riscritto il mito, le idee e prima ancora le lingue".
Perché è importante partire dal basso?
"Il libro è il proseguimento di un percorso iniziato con Geopolitica umana, per capire il mondo bisogna comprendere che sono le ambizioni, i sentimenti dei popoli che producono i leader, non il contrario".
Quindi Trump è il migliore interprete dell'America, Putin della Russia eccetera...
"Anche la dittatura come a Mosca ma anche in Cina, è doloroso dirlo ma non per questo è meno vero, vivono di consenso".
Chi viene qui cerca la libertà?
"La radice della parola libertà ci racconta molto di noi e degli altri popoli. La libertà è una grande conquista dell'Occidente, è il portato di cui dobbiamo essere più orgogliosi. Ma nel mondo è nettamente maggioritaria una concezione opposta".
Quale?
"Di una liberà come di un atto di egoismo contro la società, perché ne sconvolge l'ordine, che per le grandi civiltà era la ragione di vita. La libertà rovescia e distrugge la società perché mette al centro l'individuo. Confucio diceva che non c'è niente di più importante dello status quo".
La continuità è potere...
"In persiano libertà si dice az'd, deriva dal protoindoeuropeo g'enh, stessa sorgente del greco antico gìgnomai e del latino deponente nascor, significa nascere dentro una comunità, uno specifico popolo. In mandarino si dice zìyóu, i pittogrammi rappresentano un naso e una causa, come se le mie ambizioni personali fossero più importanti di quelle dell'aggregazione e lì è quasi un sentimento bestiale. Il russo svobóda usa il dittongo swe/sva del sanscrito che ha gemmato ego in latino, egó in greco, self in inglese: egoismo e autoreferenzialità. Prendiamo il termine arabo, applicato recentemente, è hurriyya, una sorta di sottrazione rispetto alle comunità, in senso psicologico ma mai politico".
Eppure nel mondo arabo ci sono state delle rivoluzioni...
"In arabo, il termine che viene utilizzato è inqalab, che immagina la distruzione del cuore. Libertà e rivoluzione fuori dall'Occidente molto banalmente non esistono, dovremmo ricordarcelo quando tifiamo per le rivolte altrui".
In Occidente si fanno sempre meno figli, in Italia siamo ai minimi storici, 1,18 nati per donna. Esiste il rischio di islamizzazione della società?
"Neanche gli immigrati fanno più figli da noi, neanche i cinesi in Cina. Detto questo, la componente islamica nel nostro Paese rimane ampiamente minoritaria, è ai margini della società. Non basta la demografia, in Turchia gli ottomani riuscirono a imporsi nel disgregato Impero romano d'Oriente quando la popolazione si convinse che il Dio in cui aveva creduto fino ad allora fosse falso".
C'è uno scontro culturale tra visioni diverse della società. In Francia e nel Regno Unito ci sono partiti islamici che lentamente vogliono prendere il potere...
"Sì, ma l'Islam si presenta con una visione massimalista, sia della religione sia della società e questo fa paura. Ma non ha il potere. L'Islam non è un soggetto geopolitico".
Non vede il rischio di una "sottomissione", di una rinuncia ai nostri diritti o valori?
"Siamo una società estremamente relativista, sul piano culturale e quindi facilmente penetrabile. Ma a mio avviso dall'altra parte non ci sono i numeri. E forse nel medio periodo neanche la voglia"
In che senso?
"Dipende molto dalle generazioni, dai popoli appunto. Non mi stupirei del contrario, non escluderei per niente che tra tre-quattro generazioni siano loro a diventare più simili a noi".