«I miei bimbi erano tenuti come gioielli, erano perfetti, erano la gioia che cercavo da una vita». Sono le parole che Monia Bortolotti, la mamma da sabato in carcere con l'accusa di aver ucciso i suoi due figli di quattro e due mesi, scrive sui social solo tre settimane prima dell'arresto. La 27enne affida a una pagina Facebook dedicata alle morti in culla una vera e propria autodifesa, forse dopo aver capito la direzione delle indagini intrapresa dagli inquirenti. «Non sarei riuscita a sopravvivere se anche il mio secondo bimbo mi avesse lasciato - si legge nel suo messaggio -. Vado avanti solo per proteggere l'amore che provo per i miei bimbi dalle accuse della Procura». Ma sono tante le riflessioni che Monia lascia sul web dopo la morte di Alice e Mattia, da lei chiamati «scoiattolina» e «dolce koala mangione». Bortolotti si dà sempre la colpa ma solo per non essere stata attenta, per non aver messo Alice «a dormire di lato sui suoi cuscinotti tanto morbidi» - scrive il 30 agosto. O per essere «crollata dal sonno per ben 3 volte», così Mattia «se n'è andato tra le mie braccia» - aggiunge il 13 ottobre. L'abbraccio e i cuscini compaiono nelle sue stesse ricostruzioni fatte online, ma tutto è riportato in chiave accidentale.
Per la Procura, invece, il 25 ottobre del 2022 Bortolotti avrebbe ucciso Mattia, di soli due mesi, stringendolo con forza tra le braccia fino a farlo soffocare, mentre un anno prima - il 15 novembre del 2021 - avrebbe usato un cuscino per Alice, che di mesi ne aveva quattro. L'autopsia ordinata dalla Procura sul corpicino di Mattia, d'altronde, non ha lasciato dubbi: il neonato fu soffocato. E il magistrato è convinto che la madre abbia tolto la vita anche alla primogenita. Ma le ricerche hanno permesso di ricostruire anche un precedente: è il settembre del 2022, un mese prima della scomparsa di Mattia. Cristian Zorzi, 52 anni, riceve una chiamata dalla compagna: il piccolo, che ha solo un mese di vita, è cianotico. I medici riescono a salvare il bimbo, che dopo il ricovero all'ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo viene rimandato a casa in perfetta salute. Ma un mese dopo la drammatica scena si ripete e questa volta per Mattia non c'è niente da fare. I carabinieri pensano che quello fu un primo tentativo da parte della madre di uccidere il figlioletto. In un altro messaggio la donna si sfoga anche per la fine del rapporto con il compagno: «Perché per me amare significa stare accanto a qualcuno nella buona e nella cattiva sorte, ma non tutti sono capaci o disposti a questo». E la 27enne colpevolizza anche gli altri: «Dovevo essere accompagnata a una visita quella mattina e invece avevo pensato di andare da sola perché come sempre mi preoccupavo di non disturbare nessuno». Lei, di origini indiane ma cresciuta nella Bergamasca da genitori adottivi, è ritenuta lucida e fredda anche nelle sue ricostruzioni - sebbene abbia trascorso un periodo in una clinica per problemi psicologici.
E in quella che appare una difesa precostituita solo qualche settimana fa scriveva: «Avendo avuto una mamma aggressiva psicologicamente, non riesco a concepire nemmeno la violenza verbale, tanto meno quella fisica, su nessun essere vivente, tanto meno i miei bambini. E ormai vivo per difendere il mio amore».
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