Povera Italia, la crisi fa ricchi i tedeschi

Dal 2007 bruciato il 7% della ricchezza nazionale, mentre la Germania si ritrova in tasca 2mila miliardi in più

Milano Tutti gli europei sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri, come direbbe Orwell. Ovvero, è falso che la crisi ha reso tutti più poveri: la Germania, guarda caso, è più ricca di prima. Addirittura del 18%, 2.013 miliardi in più nelle tasche dei risparmiatori tedeschi dal 2007 ad oggi. Al contrario dell'Italia, che nello stesso tempo ha visto andare in fumo il 7% della sua ricchezza. A scriverlo è Julius Bauer, la principale banca privata svizzera. Oltreoceano, intanto, l'economia riparte a passo di carica: negli Stati Uniti l'occupazione aumenta più delle stime e le Borse festeggiano, dopo la delusione Draghi che ha innescato il crollo di giovedì. Maglia rosa proprio a Milano, che alla vigilia aveva subito le perdite più pesanti, bruciando 19 milioni in una seduta, e ieri ha invece guadagnato l'1,54%. Ma sono cresciute anche Parigi (+0,92%), Londra (+1,26%) e Madrid (+1,44%). Chiusa Francoforte per la festa della riunificazione: e sembra un segno del destino. Visto che è proprio di stampo tedesco l'ingessatura che blocca la Bce e le ha impedito di adottare per tempo la ricetta per rilanciare l'economia, attuata con successo dalla Fed.

In settembre infatti le aziende americane hanno creato 248mila posti di lavoro, più dei 215mila attesi dagli analisti, e il tasso di disoccupazione è sceso al 5,9% per la prima volta dal 2008. «Sei anni dopo la Grande Recessione - commenta esultante Jason Furman, presidente del Council of Economic Advisers della Casa Bianca - l'economia americana si è ripresa con più forza rispetto alla maggior parte delle altre a livello mondiale».

E buona parte del merito va alla Banca centrale, che fin dall'inizio della crisi è intervenuta in modo deciso varando numerose misure di stimolo: obiettivo, far ripartire l'occupazione. Tassi di interesse bassi per favorire gli investimenti, massicce iniezioni di moneta per sostenere i consumi, e gli ormai famosi « quantitative easing », i piani di acquisto di titoli pubblici e privati che hanno meritato all'allora governatore della Fed Ben Bernanke il soprannome di «Helicopter Ben», come dire che lanciava dollari dall'elicottero. Una politica proseguita dall'attuale numero uno Janet Yellen, calibrata con cura sull'andamento dell'occupazione: solo ora, con le aziende che assumono a passo sostenuto ormai da mesi, la banca centrale americana metterà fine agli stimoli all'economia.

Ben diversa la posizione della Bce, tutta orientata, per statuto, alla stabilità dei prezzi, mentre la lotta alla disoccupazione non è considerata un obiettivo. In più, tra i membri dell'Eurotower ce ne sono alcuni, tedeschi in testa, contrari ad ogni azione di forte stimolo. E i governi europei non hanno certo l'unanimità di intenti di Washington. Così, l'azione della Bce è stata meno pronta e incisiva di quella americana. Nonostante le opposizioni interne, comunque, il presidente Mario Draghi ha messo in campo parecchi strumenti, dal taglio dei tassi alle iniezioni di liquidità alle banche: l'ultimo annuncio di acquisti di titoli è di due giorni fa. Ma la strada è in salita: dopo il voto contrario della Bundesbank di Jens Weidmann, anche il francese Christian Noyer, nel consiglio Bce di Napoli, avrebbe votato contro il piano di acquisti dei prestiti bancari negli «Abs».

Chiaro segnale di divisioni politiche: d'altronde, come dice il segretario generale dell'Ocse Angel Gurrìa, «la Bce non può fare tutto, i governi devono fare il loro lavoro», facilitando così i rapporti nel consiglio Bce. I mercati però potrebbero diventare impazienti.

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