
Alla buvette di Montecitorio il ministro della Giustizia Carlo Nordio, che non è certo a digiuno di letture, si affida a Winston Churchill per spiegare il complicato rapporto tra le due sponde dell'Atlantico e quell'accordo sui dazi, tutt'altro che brillante per gli europei, accettato da Ursula Von der Leyn con un'espressione con cui si può motivare tutto: "poteva andare peggio". "Churchill - cita il dotto Nordio - che era mezzo americano per via di madre, diceva dei suoi mezzi connazionali: Gli americani hanno il vizio di fare il bidet in pubblico e di far bere l'acqua agli alleati". Un giudizio che il guardasigilli coniuga con un'altra perla dello statista inglese: "Diceva Winston: gli americani sono quelli che sono, ma sono gli unici che abbiamo".
Nelle parole di Churchill ci sono le ragioni, l'iniquità e la debolezza che hanno fatto da cornice all'accordo siglato nel campo da golf di Turnberry in Scozia di proprietà di Donald Trump. Nel day after anche i più convinti sostenitori non parlano di un successo, ma di un epilogo obbligato per evitare guai. Un'intesa ancora dai contorni fumosi visto che i due comunicati, quello della Casa Bianca e di Bruxelles, su molti punti offrono versioni diverse. Un accordo, quindi, foriero di insidie e di probabili incomprensioni future. E poi è ancora aperta la partita che riguarda gli accordi settoriali, i farmaci, il vino, l'agroalimentare, etc : ogni paese, manco a dirlo, spera di spuntare qualche percentuale in meno nei dazi sui propri prodotti strategici, un'ambizione che offre la possibilità al Tycoon di dividere gli europei. Per non parlare dei corollari all'intesa: i 750 miliardi per acquistare a caro prezzo l'energia americana, oppure i 600 miliardi di investimenti europei negli States. Bruxelles si è precipitata a dire che l'accordo "non è giuridicamente vincolante". Bisogna vedere se Trump la pensa allo stesso modo.
Ecco perché per motivare l'accaduto in Parlamento qualcuno taglia la testa al toro partendo dall'assunto quasi dogmatico che a Trump non si poteva dire no. Era una proposta - sembra una citazione del Padrino - che non si poteva rifiutare. "Quello comanda - taglia corto Paolo Barelli, capogruppo dei forzisti - e ora che farà la Schlein la guerra a Trump?". "Non avevamo carte in mano - gli fa eco Lorenzo Cesa - è il costo dell'alleanza con gli Usa. Dobbiamo solo aspettare, nel giro di un anno e mezzo passerà la nottata: sono stato tra i repubblicani USA e ho sentito con le mie orecchie quello che pensano davvero di Trump".
C'è molto fatalismo in questi sfoghi. Lo stesso che ritrovi pure in qualche ministro. "Adesso il rischio - ammette il quello dei rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani - è che Trump riesca a dividerci. Il momento è difficile. Ci vorrà del tempo prima che l'Europa diventi una superpotenza".
Insomma, nessuno ha ricette in tasca. L'accaduto in questa narrazione è frutto del destino cinico e baro. L'unica ribellione la ritrovi nel passato, dagli echi che in Parlamento giungono da casa Draghi: dicono che l'ex-premier rammenti ai suoi interlocutori di aver messo per tempo in guardia dalle conseguenze dei "dazi asimmetrici" con gli Usa, dal rischio di una sorta di "sudditanza". Dietro gli va un pezzo di sinistra, ma soprattutto gli abitanti del centro che guarda a sinistra. Matteo Renzi è scatenato perché lo avrebbe preferito alla vdL nel ruolo di mediatore con la Casa Bianca. "La Meloni - spiega Carlo Calenda - ha fatto una menata pazzesca a non tenersi lontana da un deal tutto in perdita determinato dalla von der Leyen, che ha interpretato il tradizionale atteggiamento tedesco non con lo spirito della Merkel, ma di una pippa". "In Scozia - rincara il riformista del Pd Vincenzo Amendola - Ursula ha fatto la caddy di Donald".
"Con Trump - osserva Claudio Lotito con la voce dell'esperienza - devi avere le palle Non è roba da
Ursula. Io lo conosco indirettamente, è un bambinone. Devi osare: quando abbaia devi abbaiare. Come fa la moglie che da quanto mi dicono lo vuole lasciare. Poi c'è il custode che la convince dicendogli ma chi te lo fa fare?".