Roma - Senza offesa per il gentil sesso (anzi), si vorrebbe qui azzardare un assioma infallibile nei secoli: il successo in politica si misura dalla qualità delle donne. Quando le «belle» ti avvicinano, vedono in te un buon partito, addirittura sono la tua vetrina e ti guardano sorridenti dall'alto di un bel tacco 12, stai sereno. Tutto va a gonfie vele, come altro e meglio si potrebbe dire? Hai il vento in poppa. A volte però subentra di colpo una «bonaccia», e non è affatto quel che sembra. A te pare magari che vada tutto bene, madama la marchesa, però gatta ci cova. Capita, è capitato, che subentrino bellocce che non siano affatto «tue», anzi: manco ti si filano. La situazione peggiora quando ti accorgi che se la intendono col peggior nemico, e ti si sfilano davanti, a quote per te inarrivabili. In quei casi, raggi del sole sembrano accecarti, barcolli come fossi serracchiani e non trovi un appendino manco a pagarlo. Succede l'irreparabile: se ne vanno le migliori, ti senti perduto, Ferilli ti trafiggono il cuore.
È per questo che esprimiamo un po' di solidarietà a Matteo Renzi; ne comprendiamo il dolore per quel che gli capita. Ha il «Pd in bambola», ma attorno a sé il vuoto, la desolazione di boschi in abbandono. La disfatta era dietro l'angolo e il premier-segretario non aveva capito nulla. Neppure quando la carta segreta di Giachetti per il Campidoglio s'è manifestata come arrivo dell'assessore Turco (Livia). E con tutto il rispetto per l'ex ministra pci, crediamo che quello fosse il sintomo del malessere profondo. Dicono che al primo turno, quando ha visto i risultati in tivù, Matteo abbia gettato sconsolato uno sguardo su Debora (Serracchiani) e la rabbia repressa si sia sfogata in un sibilo rivolto a Orfini (c'è chi dice Sensi): «Perché noi non abbiamo candidate così?». L'invidia, si sa, è una brutta bestia. Al secondo turno, dopo i raggianti volti di Virginia Raggi e Chiara Appendino, il Capo s'è dovuto sorbire pure il discorso politico più serio e feroce che mai Cuperlo o Speranza abbiano avanzato. Sabrina Ferilli, mitica testimonial del buonsenso pci di una volta, passata indenne attraverso le ingiurie temporali del Pds-Ds-Pd, gli si è rivoltata contro. «Chi sta virando da un'altra parte è il Pd, non io», ha esordito da Floris, dopo aver rivendicato il suo tradimento per Raggi. E poi, in un crescendo, ha cominciato con la sua opera di demolizione nei confronti del piccolo David di Rignano sull'Arno: «Ha tanti incarichi, come lo zar di Russia», «Renzi non rispetta più le caratteristiche del Pd, che è un partito sentimentale, che deve combattere tutto ciò che è iniquo, che al centro deve avere i bisogni delle persone... Lui invece ha abolito i comizi, non incontra più le persone, pensa che sia più giovane più chic vedere i fan alla Leopolda... E vuole dividere il Paese sulla Costituzione, ma perché? Perché chi è contro le riforme vuole la rovina del Paese? Perché mi devo sentire in colpa se voglio votare no?». Non ha dubbi, l'attrice simbolo dell'Italia di provincia che ce la fa, della Bellezza che resiste nonostante tutto. «È lui che si pone costantemente al centro di tutto, delle cose belle, mentre le brutte in verità le evita... Ma, così, tu perdi i migliori».
Ed è su questo grido di dolore, che Renzi mollato dalle donne che contano dovrebbe riflettere, altro che su Fassino, D'Alema, Errani e il (finto) bagno di umiltà. La denuncia della Ferilli è la stessa onda vitale che porta su le nuove sindache grilline (o «sindaci»?); è l'acido che sfigura il volto di un Capo che ha smesso di essere seducente per assumere le pose del perdente. Quel che scema è lo slancio del caso benevolo, la gioia di una fortuna che attrae Bellezza e le dà anima.
Al punto che neppure le veneree fattezze della Boschi sembrano più le stesse, né la preservano dalla realtà dei suoi (mis)fatti e relative contestazioni. Non si sa, a questo punto, se Narciso troppo innamorato di se stesso, possa mai più riuscire ad amare le donne. Quel che è certo, la Grazia da oggi guarda altrove.
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