Il premier deraglia anche sui treni

Basta salire su un convoglio per accorgersi che l'Italia resta un Paese che non funziona

Il premier deraglia anche sui treni

Salgo su un treno a Zurigo per tornare a Milano e male me ne incoglie. È di Trenitalia; e, trattandosi di un treno italiano, naturalmente, si rompe appena partito. Passerò gran pare del tempo alla ricerca di coincidenze sostitutive. I gentili funzionari delle ferrovie elvetiche si scuseranno per il disagio come se dipendesse da loro. Credevo che certe cose accadessero solo nella vecchia Unione Sovietica, dove il socialismo reale aveva trasformato il «paradiso in terra» promesso da Marx nell'inferno e non c'era nulla che funzionasse, salvo, forse, il solo Kgb. Ma ora che le deficienze strutturali dell'Italia hanno raggiunto Zurigo, infettando persino l'efficientissima Svizzera, mi chiedo se il mio Paese non sia diventato, sotto il profilo amministrativo, la ridicola parodia dell'Urss. Siamo, certo, in una condizione di maggiore libertà, ma è una aggravante, perché non sappiamo palesemente che farcene. «Ce la siamo cavata ancora un volta, perché altri si assume una responsabilità che non è sua, ma nostra», commenta un giovane viaggiatore che ha assistito alla vicenda. È emigrato dodici anni fa in Germania, dove ora lavora felicemente.

Se, dunque, il rottamatore, che ci sommerge con un mare di chiacchiere, sostituendosi ai suoi predecessori solo per prenderne il posto, ma facendo in modo che nulla cambi, volesse davvero riformare il Paese, incomincerebbe almeno col mandare a casa una parte dei dirigenti che amministrano certe inefficienti, e costose, società pubbliche. Ma perché non lo fa? Perché la burocrazia, che su quelle ci campa, lo sostiene. Siamo tornati ai tempi della Prima Repubblica e manco ce ne siano accorti, ubriachi come siamo di illusioni alle quali ci sforziamo di credere. Ci entusiasmano le promesse governative come ci entusiasmavano, nel Ventennio, quelle del Duce sull'avvenire luminoso dell'Impero in costruzione... Non siamo, fortunatamente, alla costruzione di un impero, ma le condizioni psicologiche paiono le stesse anche perché i media le alimentano.

Come popolo, abbiamo la straordinaria capacità, col nostro menefreghismo - «siamo i soliti italiani» diciamo in queste circostanze, «ridendoci su per primi», aggiunge sconsolato il mio giovane interlocutore -, di trasformare in un cialtrone chiunque ci governi.

Mussolini aveva stabilito il record; Matteo Renzi lo sta battendo... Ci mette, è vero, molto di suo; ma noi, per parte nostra, lo coadiuviamo, consolandoci che «prima» le cose andavano peggio. Le colpe sono sempre degli altri... Ma nulla andrà per il meglio...

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