Il premier fa il garantista solo coi suoi sottosegretari

La severità a orologeria di Renzi: via il ministro che non è indagato ma tutti al loro posto gli inquisiti che lui ha chiamato al governo. Dalla Barracciu a Castiglione, ecco chi sono

Il premier fa il garantista solo coi suoi sottosegretari

I l ministro Lupi lo ha scaricato subito, appena le prime notizie dell'inchiesta sulle grandi opere sono comparse sui giornali. Questa volta Matteo Renzi non ci ha neanche provato a prendere le parti di un membro del suo governo tirato dentro a un'inchiesta in cui non è neanche indagato. Anzi, ha fatto subito pressing per spingerlo alle dimissioni.

Forse le intercettazioni in cui Lupi parlava con Ettore Incalza per trovare un lavoro al figlio Luca erano troppo «indigeste» all'opinione pubblica e avevano reso l'ormai ex ministro, per il quale Renzi ha sempre nutrito una certa insofferenza, indifendibile davanti al Pd. Ma certo il severissimo metro utilizzato dal presidente del Consiglio in questa vicenda, e che ha indotto Lupi a fare un passo indietro, non è lo stesso che Renzi ha utilizzato per valutare l'operato di ben cinque sottosegretari del suo governo, loro sì indagati per vari reati, eppure rimasti serenamente attaccati alle poltrone. Alcuni di loro entrati nell'esecutivo nonostante il premier ne conoscesse i guai con la giustizia. Nessuno scandalo, nessun imbarazzo. Una «morale daltonica», l'ha chiamata Renato Brunetta intervenendo in aula, che di fatto ha salvato quattro esponenti del Pd e uno di Ncd, e ha abbandonato Lupi al tritacarne mediatico. Come lo stesso ex ministro ha rimproverato a Renzi, criticando il suo doppiopesismo: garantista con quelli del Pd e con i sottosegretari indagati e colpevolista con lui che in quest'inchiesta non è accusato di alcun reato. Del garantismo a corrente alternata di Renzi, a seconda del momento e della convenienza politica, ha beneficiato Vito De Filippo, sottosegretario alla Salute nominato quando era già indagato per l'uso illecito di fondi alla Regione Basilicata. Quando nel maggio scorso è stato rinviato a giudizio, e dunque è diventato imputato, lo spettro delle sue possibili dimissioni aveva aleggiato nel Pd e nel governo. Poi più nulla. Acqua passata, posto conservato. Altra poltrona che scotta è quella di Francesca Barracciu, convinta da Renzi a ritirarsi dalla corsa per la presidenza della Regione Sardegna quando è rimasta invischiata in un'indagine sull'utilizzo dei fondi destinati ai gruppi del consiglio regionale sardo e poi ricompensata con una poltrona da sottosegretario ai Beni Culturali. La sua accusa di peculato, evidentemente, sulla personalissima bilancia di Renzi è pesata meno della richiesta di un lavoro per il proprio figliolo avanzata da papà Lupi a Incalza. Come di meno, del resto, deve aver pesato l'inchiesta su Umberto Del Basso De Caro, indagato dalla Procura di Napoli (che a novembre ha chiesto l'archiviazione) per i rimborsi non rendicontati del consiglio regionale della Campania, e sempre difeso dal premier. Anche Davide Faraone, anch'egli Pd, è entrato nella squadra di governo come sottosegretario al Miur quando era indagato nell'inchiesta sulla rimborsopoli siciliana. È invece di Ncd il sottosegretario all'Agricoltura Giuseppe Castiglione accusato di turbativa d'asta a abuso d'ufficio nell'indagine sull'appalto per la gestione del centro rifugiati di Mineo.

Altri esempi di doppia morale sono Vincenzo De Luca, candidato del Pd a governatore della Campania nonostante una condanna per abuso

d'ufficio, e il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, fotografato quando era presidente della Legacoop a cena con il boss di Mafia Capitale Salvatore Buzzi. Anche in questo caso polemiche, ma nessuna richiesta di dimissioni.

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