Premier leghista? C'è un problema con la latitudine...

Per Salvini lo scoglio del Sud sulla via per Palazzo Chigi

Abbiamo letto decine di analisi del voto, alcune interessanti e argute, ma tutte hanno trascurato l'ovvio: l'astensionismo non è un fenomeno nuovo, ha avuto inizio almeno dieci anni orsono, e s'ingigantisce a ogni appuntamento con le urne. Come mai? La gente si rende conto che, chiunque vinca le elezioni (di ogni genere), le cose non cambiano perché non possono cambiare: infatti il sistema istituzionale è stato concepito, progettato e realizzato per essere immutabile. Nel caso dell'Emilia Romagna c'era un motivo in più per trattenere gli elettori dal recarsi ai seggi: la pessima reputazione della Regione, non solo male amministrata (come quasi tutte le Regioni, enti inutili), ma anche trasformata in sede (...)

(...) di autentiche associazioni per delinquere.

L'astensionismo è la radiografia della crisi politica italiana; crisi sottovalutata dagli addetti ai lavori, forse talmente incapaci da non riuscire ad accorgersi del disgusto che suscitano. La situazione è compromessa al punto tale che il popolo, per disperazione, si aggrappa al primo demagogo in grado di illuderlo. Beppe Grillo docet.

D'altronde c'è un precedente clamoroso: per quasi mezzo secolo l'Italia è stata la succursale occidentale dell'Unione Sovietica, vantando il più massiccio partito comunista del cosiddetto mondo libero. Il duraturo successo del Pci dipese dall'abilità dei suoi leader nel cavalcare lo scontento dell'epoca e nel promettere (abbindolando gli ingenui) il paradiso socialista dell'eguaglianza e dell'equità. Fole non completamente sfumate e che fanno ancora palpitare i cuori dei dissidenti del Pd, i cui nomi sono noti: non vale la pena di citarli ulteriormente.

Tornando ai risultati della consultazione di domenica scorsa, stupisce come essi, pur riferendosi a un test relativo a due sole Regioni e pertanto poco significativo, consentano a tanti commentatori (politici inclusi) di emettere vaticini sul futuro prossimo del Paese. È assurdo ricavare previsioni da una votazione svoltasi a livello strettamente locale. Ma tant'è. Alcuni pensano che il Pd sia in declino e che Matteo Renzi sia stato azzoppato. Altri giurano che Forza Italia sia in panne e che Silvio Berlusconi sia spacciato. Altri ancora danno per certo che la Lega sia in procinto di sfondare sul piano nazionale e che Matteo Salvini, il salvatore della patria padana, sia già attrezzato per assumere la guida del centrodestra. Si tratta al massimo di ipotesi fantasiose, buone per giochi di società e per vivacizzare conversazioni da salotto. Tra il dire e il fare c'è di mezzo la realtà, assai più complessa di quanto la descrivano gli editorialisti di pronto intervento.

Il premier ogni dì è costretto ad affrontare varie difficoltà, ma al momento nel suo partito, e anche in altri, non ha rivali. Chi gli può soffiare la poltrona? Cuperlo? Civati? Bindi? Vendola? Non scherziamo. Finché all'orizzonte non spiccherà un personaggio all'altezza di scalzarlo, Renzi, nonostante numerose tribolazioni, sarà intoccabile. E il Pd, non avendo per adesso avversari di rango, è destinato a vincere, non a stravincere. Berlusconi non va considerato finito, sarebbe un grave errore. Egli è ricco di risorse e non sarebbe strano se riservasse qualche sorpresa spiazzante. Grillo, contrariamente alle apparenze, non è in agonia: sta solo dormendo e se si risvegliasse sarebbe di nuovo un guastatore. Quando si butta di persona nella battaglia, semina sempre il terrore.

E veniamo a Salvini. Un leader, non c'è dubbio. Ma è sufficiente la sua performance in Emilia per incoronarlo re del centrodestra? Le scelte fatte troppo in fretta e su base emotiva sono pericolose. Guai a dimenticare che il segretario leghista gode della stima del Cavaliere (sì, d'accordo, ex), che lo ha proposto quale centravanti dello schieramento contrario a quello di sinistra, ma non si deve scordare neppure che egli è giudicato indigeribile dall'ala meridionale di Fi. Insediarlo a dispetto dei santi nel ruolo di candidato presidente del Consiglio è un'operazione che in teoria si può fare, ma non subito. I tempi non sono maturi. Anche perché Salvini è forte al Nord e debole al Sud, dove non ha mai dissodato il terreno né seminato per raccogliere consensi in quantità idonea a garantirsi la leadership della destra. Una lacuna da colmare prima di aspirare alla conquista delle Due Sicilie.

Vero che i mutamenti in politica recentemente hanno subìto un'accelerazione, tuttavia per convincere il Mezzogiorno che un leghista, per quanto vispo e intelligente, è l'uomo adatto a farlo risorgere, serve qualcosa di più che una designazione piovuta dall'alto e agevolata da un'eccellente affermazione in una

regione rossa. Buon lavoro, Salvini. E tenga presente: se va a Potenza a dire che bisogna «ripudiare» l'euro e liberarsi dalla gabbia europea, rischia di essere preso a pernacchi. I problemi lucani non sono quelli di Vigevano.

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