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Prese infezione per salvare i "cinghialotti". Morto marinaio

Prese infezione per salvare i "cinghialotti". Morto marinaio

Ha contribuito a salvare i baby-calciatori thailandesi intrappolati per giorni in una grotta tra le fine di giugno e l'inizio di luglio del 2018, ma diciotto mesi dopo è stato lui a perdere la vita a causa di una infezione contratta proprio durante le fasi del salvataggio.

La vittima, trattata in patria come un eroe, è il sottufficiale della marina thailandese Beirat Bureerak. La vicenda è nota, perché all'epoca fece scalpore in tutto il mondo. Dodici giovanissimi calciatori della Wild Boars Academy's e il loro allenatore Ekapol Chanthawong il 23 giugno 2018 durante una visita a Tham Luang nella provincia di Chiang Rai, nel Nord della Thailandia, erano rimasti bloccati nelle grotte a causa dell'allagamento delle stesse provocata dalle forti piogge tipiche di quella stagione. I tredici «prigionieri», scoperti nove giorni dopo, furono salvati soltanto il 10 luglio, dopo 17 giorni sottoterra, grazie al lavoro delle forze dell'ordine thailandesi e di tanti volontari giunti da tutto il mondo. Tra i quali Bureerak, che ha pagato lo scotto più caro a quei giorni di speranza e follia, lo stesso prezzo pagato dal subacqueo della Marina, il sergente Saman Kuman, che perse la vita dirante le operazioni di salvataggio.

Le drammatiche fasi del recupero dei tredici «ostaggi» della grotta sono raccontate nel libro The Cave dal corrispondente per l'Asia del Sud-Est della tv ABC Australia Southeast Asia, Liam Cochrane: «Per calmare i nervi, ai genitori era stato detto che i ragazzini stavano imparando a fare immersioni e i media avevano raccontato che ognuno di loro sarebbe stato legato a un cavo aereo e avrebbe nuotato con un sub esperto davanti e uno dietro. E tutto questo non era vero. Coloro che erano stati dentro le gallerie allagate sapevano che non c'era alcuna possibilità che un ragazzino che non aveva mai fatto immersioni potesse farle in quel percorso pieno di ostacoli, infido e fangoso.

La sola speranza era sedarli, mettere delle maschere a ossigeno sigillate sul loro volto e lasciare che persone esperte li portassero via. Ma era cruciale che le maschere fossero aderentissime, altrimenti essi sarebbero annegati».

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